Emily Dickinson: l'arte per l'essere - Prima parte
Foto di Paola Casulli

Emily Dickinson: l'arte per l'essere - Prima parte

diCinzia Caputo

Ritratto: Nella mia casa eravamo le più piccole / La mia camera ed io. A notte, con un libro ed una lampada...Non parlavo che quando mi parlavano / E pure allora, breve sottovoce. Lo strepitio mi era insopportabile, il fracasso mi umiliava...Emily si descrive così, timida, introversa, solitaria, inamovibile dalla casa di famiglia, da cui si separerà solo con la morte. La vergine di Amherst, chiusa nella sua camera non varca la soglia della casa paterna, come una vestale non lascia il suo tempio, così Emily dall'interno di se stessa "vede" il mondo. Come Artemide dea della caccia e dei boschi, vergine perché una in se stessa, indipendente dalla figura maschile, si oppone al modello tradizionale di donna, come madre e sposa, per cui la procreazione è l'unico scopo possibile. Il tratto che caratterizza la vita di Emily è la solitudine; l'esperienza della separazione è il suo continuo e prolungato vissuto, che non rifugge, ma al contrario, ricerca. È restando aperta alla propria mancanza, abbandonandosi a quel vuoto, che Emily può trovare la sua "parola". «La separazione e ciò che sappiamo del cielo e quanto basta dell'inferno». Si possono rintracciare gli eventi che hanno suscitato il malessere di Emily, ma essi restano pur tuttavia sproporzionati rispetto al suo soverchiarne dolore. La perdita è sempre qualcosa di originario, patrimonio di un passato sconosciuto, che ci abbandona a noi stessi, nudi e traditi. L'atto della scrittura, può allora rappresentare il tentativo di esprimere ciò che non è esprimibile.

Emily nasce nel 1830, ad Amherst, un villaggio della Nuova Inghilterra, nella vallata del Connecticut, dove la tradizione puritana è molto forte. Solo un secolo prima, poche miglia distante dal suo paese, Jhonatan Edward, l'ultimo dei grandi teologi puritani, il primo dopo l'ultima generazione di persecutori di streghe, aveva energicamente difeso, contro le nuove tendenze naturalistiche, la teologia di Calvino della assoluta sovranità di Dio sul destino degli uomini. Solo gli eletti potevano essere salvati dalla Grazia, che si otteneva per volere imperscrutabile di Dio, lasciando, quindi, gli esclusi nella disperazione. In questo clima vive Emily e questa la dottrina che sente tuonare dal pulpito, ogni domenica. Il dubbio e la perplessità, l'avversione per i nessi logici, che caratterizzano la sua poesia, derivano dalle contraddizioni insanabili della sua cultura, le cui origini sono profondamente rivoluzionarie. Nessun prete e nessuna autorità poteva dispensare l'uomo dal rendere conto direttamente a Dio; un solo padrone aveva quindi il puritano: la sua coscienza, ed Emily questa la seguì fino in fondo.




Sappiamo che Emily via via che cominciano a manifestarsi le sue forze creative, tende a rinchiudersi in se stessa, circondata da un témenos, il suo recinto sacro, atto a proteggere tali forze dirompenti. Il contatto con gli altri le causa un senso di disorientamento e paura, Emily fugge da qualcosa di sconvolgente che non può sostenere, come l'affetto e la presenza. «Una lettera mi dà sempre una sensazione di immortalità, perché è l'anima sola senza la sua compagnia corporea». Nell'universo di Emily prevalgono l'assenza e la morte, la presenza invece ferisce più della morte stessa, perché è lì solo per testimoniare di una irriducibile separazione. Attraverso il voluminoso epistolario di Emily, possiamo ricostruire la sua vita familiare come tipico modello ottocentesco. I rituali delle visite fatte e ricevute fino a che l'orologio non si metteva a suonare in modo ammonitore l'ora fatidica delle 10 di sera, gli esercizi al pianoforte, i lavori d'ago, e altre occupazioni casalinghe. Un profondo senso dell'unità familiare, dominata dal padre, Edward Dickinson, uomo di spicco nella vita sociale e politica del suo paese, di grande tempra e intelligenza, ma poco lungimirante nei confronti di una figlia poco comune. La moglie, Emily Nercross, non spicca come personalità: fu una donna devota al marito e poco incline al pensiero, ebbero 3 figli, Austin, il figlio maschio intorno a cui gravitano le attese della famiglia, Emily e Lavinia, anche lei non brilla per particolari doti, più incline alle tipiche occupazioni femminili; non si sposò mai, rimanendo accanto alla sorella per la quale nutrì sempre una grande ammirazione. Emily nella sua infanzia mostra un carattere allegro e socievole, mentre col passare degli anni diventa sempre più introversa, da un progressivo isolamento fino a un quasi totale ripiegamento su di sé. Ciò è visibile nella sua scrittura, che si fa sempre più breve e sintetica, singole frasi staccate, criptiche come sentenze, rivelazioni enigmatiche come di un oracolo. «Il Soprannaturale è soltanto il Naturale non ancora rivelato». Perdite e delusioni si susseguono nella vita di Emily, il vuoto che si va scavando dentro di lei non trova agganci col mondo. Il bisogno è la ferita dalla quale attinge, un vuoto non colmabile che solo la scrittura, in quanto espressione di quella assenza, poteva coprire. La sua liberazione, paradossalmente, passa attraverso ciò che più la sgomenta: la perdita, ma sarà proprio questa a spingerla al confronto col proprio abisso interiore. Per Emily la perdita degli affetti è sconvolgente, gli amici sono il suo tesoro terrestre, inestimabile e precario, posseduto ad ogni istante con un senso di gratitudine e di allarme. Perde prematuramente "Colui che avrebbe voluto vivere fino a quando io fossi stata poeta"; era il suo primo precettore Ben Newton. Intanto assistiamo all'intrecciarsi di nuove e profonde amicizie epistolari, mentre si restringe il mondo delle sue relazioni immediate. Nell'universo di Emily la lettera esprime la misura della sua distanza, "l'altro" si evidenzia come separazione, l'immagine di un "Tu" che è assolutamente altro, irraggiungibile e incorporeo. Non esiste possibilità di conciliazione tra il mondo terreno e quello dello spirito, la scelta si pone come sacrificio di uno dei due termini. Siamo di fronte al grande conflitto dell'umanità, ciò che nel mito si esprime con l'immagine della creazione come "separazione dei genitori dal mondo"; la scissione degli opposti dall'unità originaria, la nascita del cielo e della terra, della luce e delle tenebre. Per Emily il mondo è separazione, la vita predatrice, e lei muove i suoi passi incerta, sospesa tra la terra e il cielo." non mi sentii mai a casa sulla terra", esclamerà verso il tramonto della sua vita.

La terra, come la natura, immagine simbolica della madre, è il fondamento mancante e per Emily assume la maschera terrificante della morte. La "madre" a livello positivo si manifesta nel carattere del contenere, attraverso le funzioni dell'offrire, del nutrire, del proteggere e del riscaldare; l'aspetto negativo, nel rifiuto e nella privazione. La madre terra genera la vita, ma riprende anche tutto ciò che da essa è nato, nel suo grembo di nascita e morte. Nell'ambito delle culture "patriarcali", il simbolo della materia che si identifica sempre con la parte inferiore, viene svalutato, come attestano tutte le religioni gnostiche, dal cristianesimo all'islamismo. La materia perde il suo carattere di fondamento della realtà, per assumere quella demoniaca del peccato.






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