Il richiamo di Orfeo
Giuseppe Letizia, Sule, mare, ientu, pietra leccese

Il richiamo di Orfeo

diLucio Macchia

Mi soffermo su un passaggio di Hugo Friedrich: «Mallarmé ha una volta dichiarato in una conversazione che la poesia, dopo la “grande aberrazione di Omero”, ha perduto la strada. Quando gli fu chiesto che cosa c’era prima di Omero rispose: Orfeo»[i]. Questa concisa citazione riportata da F. apre la strada a un ragionamento sulla lirica moderna. Omero viene smitizzato, ricondotto ad una “aberrazione”: una posizione radicale di Mallarmé che vede nel lirico greco il simbolo di una poesia asservita a narrazione di gesta, a racconto, a celebrazione di ordini sociali, ovvero l’opposto della “poésie pure” da lui impersonata. Questa posizione fa il paio con il mito del ritorno al primitivo in Gauguin e Picasso, ma anche con l’attacco a Socrate condotto da Nietzsche. E il denominatore comune di tutte queste tendenze è la spinta, in epoca moderna, a un recupero della dimensione dionisiaca. E dire Dioniso è come dire Orfeo, tanto profondamente queste due figure sono legate nella mitologia greca. «Orfeo è la figura di Dioniso-Zagreus[ii], il dio del mutamento e della metamorfosi, il dio smembrato e rinato, che “deve venire”[iii], come aveva detto Hölderlin e con lui tutto il primo romanticismo tedesco. Dioniso-Zagreus è una figura orfica […] Orfeo è un Dioniso, inoltre, che ha ricevuto da Apollo la lira e che con essa può tracciare, per l’ascolto, figure che sono come le costellazioni celesti: un significato delle cose caduche che supera in sé la caducità»[iv]. Orfeo, per molti suoi aspetti, consente ai poeti moderni di recuperare una visione “primitiva” della lirica, riscoprendone le origini connesse ad una ricerca di contatto con le dimensioni più oscure e ancestrali, antecedenti alla “stretta apollinea” che dominerà tutta la cultura occidentale. Nel mito di Orfeo l’apollineo, pur presente, è innestato e integrato in un profondo nucleo dionisiaco. Il poeta orfico è caratterizzato da un canto che crea il mondo (lo “produce”, donde poiesis) con il presupposto di una fantasia liberata. Egli agisce come poeta-mago (nel mito, Orfeo, con la potenza del suo canto, compie miracoli, influenza le cose e, quindi, le “crea di nuovo”) che contatta la verticalità abissale della condizione umana (nel mito, la discesa negli Inferi) e dona senso alla vita pur non preservandola dalla morte (come con Euridice). È il poeta che sperimenta sul suo corpo la molteplicità pulsionale, la frammentazione dell’io, la terribile esposizione al fuoco devastante della consapevolezza esistenziale: la sua morte mitologica è per sbranamento da parte delle Menadi, in una concezione di poesia “incarnata”, testimonianza di una vicenda umana, in cui il dire poetico non è decorativo, ma si pone come discorso complessivo sull’umano, che acquisisce tratti religiosi. Qui giace il recupero di aspetti del pensiero e del poetico che la storia aveva accantonato e che i moderni recuperano, spinti dall’esigenza di andare alla sorgente della lirica ad attingere una purezza smarrita nelle stratificazioni storiche, negli asservimenti del suo discorso ad altri discorsi. Nel pronunciare il nome di Orfeo, dal romanticismo in poi, i poeti occidentali reagiscono all’illuminismo prima, al positivismo poi, e, di conseguenza, ai discorsi della tecnica, tornando indietro ad un mondo primigenio, popolato da divinità dionisiache, e “re-incantando” la parola lirica.  Non può non giungerci la voce del Rilke dei Sonetti a Orfeo, che già nel titolo esplicitano il collegamento con quella mitologia poetica, peraltro sottesa anche alle Elegie Duinesi. R. ne sottolinea tutta la forza apportatrice di senso al cospetto della caducità: «Non ergete lapidi. Ma ogni anno/fate che per lui fiorisca la rosa. / Questo è Orfeo. La sua metamorfosi/in questo o in quello»[v]. R. dipinge un’immagine intensissima della poesia come canto che si leva nella fragilità della condizione umana, nella sua precarietà, nella sua sospensione tra essere e non essere: «Fuggi quell’errore che porta alla rinuncia/dell’avvenuta decisione, questa: d’essere! / Filo di seta, t’intrecciasti nell’ordito»[vi]. Il gesto del dire poetico proviene da un intreccio fusionale col mondo: non le cose analizzate dalla scienza riduzionistica, manipolate e violentate dalla tecnica. “Semplicemente”, le cose. “Semplicemente”, il mondo. Ecco l’emergere della figura del poeta come cantore dell’universo, che s’affida a forze primigenie assolute, profondamente consapevole della sua condizione: «Qui, tra color che passano, sii, nel regno del declino, /un cristallo che suona, e che nel suono già s’infranse. / Sii – e sappi anche la condizione del Non Essere, / interminato fondamento della tua interna oscillazione»[vii]. In queste poche citazioni, R. ci dona il senso moderno di un approccio orfico alla lirica. Un atto di fede in cui il gesto lirico non è “semplice pensiero”, né decorazione, né gioco linguistico. Il tratto distintivo è, invece, proprio la “totalità”, la “cosmicità” della prospettiva, in cui la parola segna un rapporto immediato con il mondo in cui ciò che viene recuperato è proprio il carattere religioso del poetico, la sua forza “re-ligante”, il suo esser filo rilkiano che s’inserisce nel tessuto infinito delle cose, e con esse s’intreccia immergendosi nel tutto. Ai nostri tempi, dopo le dissoluzioni del linguaggio, le sperimentazioni di ogni tipo, le decostruzioni postmoderne, un ideale orfico appare storicamente irrecuperabile. Eppure, sempre aleggia nell’arte poetica come una nostalgia. Resiste ancora, in molti di noi che s’accostano allo scrivere, una concezione salvifica della parola. Certamente da integrare nella nostra contemporaneità, con tutta la complessità che ciò comporta. Ma comunque una spinta persistente, forse inseparabile dal gesto lirico, fosse pure nella forma dell’eccesso, del lapsus. Come se ancora, in noi, giacesse quell’attesa. Di un dio a venire. Come se, dal fondo oscuro della storia, ancora ci giungesse, debolissimo ma udibile, l’incantante canto d’Orfeo.



[i] H. Friedrich, La struttura della lirica moderna, Garzanti 2002 (prima edizione originale 1956) p. 146

[ii] Le due figure, Dioniso e Zagreus (quest’ultimo etimologicamente associato al termine “cacciatore”), nel complesso intreccio delle versioni mitologiche, tendono a sovrapporsi nell’ambito dell’orfismo (da Treccani, fonte web)

[iii] Il famoso «Der kommende Gott» tratto dalla poesia di Hölderlin «Brod und Wein» (Pane e vino)

[iv] Sonetti di Orfeo di R.M. Rilke, a cura di Franco Rella, edizione Feltrinelli – citazione tratta dalla premessa

[v] Ibid. Parte Prima – Sonetto V

[vi] Ibid. Parte Seconda – Sonetto XXI

[vii] Ibid. Parte Seconda – Sonetto XIII


La lettura di questo articolo è riservata agli abbonati
ABBONATI SUBITO!
Hai già un abbonamento?
clicca qui per effettuare il login.

Commenti

Lascia il tuo commento

Codice di verifica


Invia

Sostienici