La Maschera
Alberto Cini - So che anche tu

La Maschera

diCinzia Caputo

«Il poeta è un fingitore. / Finge così completamente / che arriva a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente». [1] 


La maschera è lo strumento che ricopre il volto dell’attore perché non traspaia qualcosa della sua identità personale. La sua fissità definisce in maniera univoca il personaggio. Essa nasconde e rivela e ben si presta ad essere metafora dei complessi rapporti che intercorrono tra l’io, l’inconscio e il mondo. La maschera rappresenta   allo stesso modo il sintomo, anche esso nasconde e rivela; nella terapia è infatti, necessario vedere dietro la maschera il volto. Jung ha individuato nella maschera, con il nome latino di Persona, nella sua funzione di mediazione, un archetipo. 

La maschera che simula l’individualità, fa credere agli altri che chi la porta sia individuale (ed egli stesso lo crede), mentre non si tratta che di una parte rappresentata in teatro nella quale parla la psiche collettiva” [2]

 La situazione teatrale con i suoi aspetti di artificiosità e di falso, attivando la possibilità di affidarsi all’immagine scenica, si offre come luogo in cui le polarità vero\falso, artificioso\spontaneo sono intimamente connesse e assunte all’interno di confini spazio-temporali. Si può dunque affermare che è solo la relazione tra l’attore e la sua maschera a ricercare nella falsità della situazione scenica, la verità del contenuto rappresentato. Il vero attiene a ciò cui rimanda (non copre, ma rappresenta); il falso al suo essere solo un’imitazione piuttosto che il volto stesso. La messa in scena si pone come opportunità di fondere l’individualità con il sociale, la maschera   infatti, si adatta ai lineamenti del volto (all’interno) e alle esigenze sociali e culturali (all’esterno).  L’uomo “attore” è dunque, colui che prendendo parte attiva alla vicenda rende simboliche le sfumature della vita.  La collocazione delle due maschere sul frontone del proscenio teatrale, quella del riso e del pianto, ci ricorda come la faccia/maschera, per esempio quella di Totò, rappresenti il tema del tragico nella forma comica che nella comicità, appunto, nasconde e rivela il dolore. 

La doppia funzione quindi, di celare da un lato e amplificare dall’altro (identità come identico o comune, ma anche come identità personale), ci rimanda al teatro analitico, al teatro del sogno, al teatro dell’inconscio.

Ricorrendo al mito di Perseo e di Medusa, Italo Calvino spiega nelle Lezioni Americane il suo concetto di Leggerezza. Perseo vince in virtù di una visione indiretta, in un'immagine catturata da uno specchio. Leggerezza e riflessione sono gli strumenti utilizzati da Perseo come "risorsa e metodo" per affrontare la negatività e il potere paralizzante di Medusa. La forza di Perseo sta in un rifiuto della visione diretta, che non è un rifiuto della realtà  in cui gli è toccato di vivere, ma una realtà che porta con sé come proprio fardello (la borsa nella quale cela la testa di Medusa). Perseo è la personificazione della visione laterale, del porsi dietro e sotto angolazioni differenti. Questa in fondo non è altro che la rappresentazione della Maschera, del suo lasciare intuire la realtà in tutta la sua complessità ed ambivalenza. L’esperienza clinica ci fa comprendere come nel contattare le problematiche più arcaiche e complesse ci si debba muovere come con la Medusa: lo sguardo deve essere indiretto perché quello diretto pietrifica.  Aggirare lo sguardo pietrificante della Medusa, vuol dire, all’interno di una dimensione junghiana, volgere lo sguardo all’attività immaginativa come utensile artigianale per la trasformazione.  Quando parliamo di immagini non intendiamo la riproduzione psichica dell’oggetto esterno, quanto piuttosto una concezione proveniente dal linguaggio poetico, cioè l’immagine fantastica che si riferisce solo e indirettamente alle percezioni dell’oggetto esterno.    La Persona come individualità adulta si connota per la possibilità di mettere in scena il collettivo interpretandolo. In questo senso possiamo citare Pessoa e i suoi eteronimi.  Il conflitto tra sincerità e simulazione, con una progressiva disgregazione dell'io, in lui si risolve con un visionario scavo nella sfera tra coscienza e incoscienza e nell'idea - modernissima - di «letteratura come menzogna». Cos’è un eteronimo? Dal greco héteros, diverso, altro da sé, e onoma, nome, è un personaggio fittizio, che possiede però una sua personalità e una sua biografia diversa da quella del suo creatore. È un “altro da sé” a cui si affidano aspetti del proprio carattere che non si riescono ad accettare, sogni e speranze che non si sono a concretizzati. Qualcuno che fa scelte diverse dal suo autore, che ad un incrocio sceglie una direzione diversa, che naviga tra le infinite possibilità della vita con maggiore disinvoltura e sicurezza. O forse, ci si crea un eteronimo quando la vita non è abbastanza, quando si hanno dentro mondi diversi da quello quotidiano, da quello che si vede. Quando si coltiva un’innata ed infinita irrequietezza. Quando non si accettano alcuni aspetti del proprio carattere che sono però i più veri, i più autentici e si affidano all’eteronimo. A volte, l’eteronimo, o gli eteronimi, diventano noms de plume, e, dietro la loro maschera, si scrive, si compone, si dipinge in modo molto più spontaneo ed autentico. Oggi potremmo parlare di nick-name ed il contesto nel quale è possibile indossare questa maschera non è lo spazio fisico-temporale dato dalla rappresentazione scenica, ma la dimensione aspaziale e atemporale della rete. Riprendendo il tema della maschera, possiamo dire che essa è un punto di transizione, un passaggio attraverso una soglia, tra interno ed esterno, tra naturale e soprannaturale, rafforza connettendo con il mondo spirituale. Per questo in molte culture troviamo le maschere funerarie come elemento di mediazione e di stabilizzazione di fronte al cambiamento più totale quale può essere quello della morte. E proprio per questo le maschere hanno da sempre avuto un ruolo di particolare importanza nei riti di iniziazione, in quanto espressione e tramite di una trasformazione che ha luogo nell'individuo per la realizzazione della “completezza”, con un frequente riferimento al culto degli antenati. La maschera è uno spazio polisemico che implica diversi significati e che supera il confine che divide il villaggio dalla foresta, gli esseri umani dagli animali, i vivi dai morti, la sanità dalla follia.    Un’etimologia popolare (per-sonare) fa della persona un luogo di passaggio e uno strumento di amplificazione di una voce venuta da altrove. E’ stata suggerita una derivazione venuta da phersu, divinità etrusca del mondo infernale. La radice sarebbe identica o analoga a quella che risuona in Persephone, altra divinità della regione sotterranea.  In una prospettiva archetipica Ade è il dio della profondità e delle cose invisibili, e la Psiche desidera Ade.  

 

 

La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s’è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.[3]


[1] F. Pessoa.

[2] C.G. Jung, "L'io e l'inconscio", Bollati Boringhieri, pag. 155.

[3] F. Pessoa.

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