La terra del sol levante: il Giappone
Elio Scarciglia, Cappella Baglioni di Spello, I volti del Pinturicchio

La terra del sol levante: il Giappone

diCinzia Caputo

Mi sono appoggiata alla bellezza del mondo

e ho tenuto l’odore delle stagioni tra le mani [1]


                                                                                                           Nel visibile la primavera esplode

non sa quando invisibile

il tempo passa sotto le scarpe

(l’inverno semina fiori di ciliegio.)[2]



L’antico nome del Giappone era Yamato che, scomposto nei suoi ideogrammi, significa Grande Wa, cioè Grande Armonia, ma la vera denominazione interna al paese, pare fosse: Passaggio tra le montagne, per via della densità montuosa del territorio in cui il passaggio delle stagioni era scandito dalle cime innevate, o ricoperte di vegetazione, o in primavera quando fioriscono i ciliegi, atmosfere di rara bellezza. 

Sono 4 le stagioni nel mondo, ma l’antico calendario giapponese dice che le 4 stagioni si dividono in 24 periodi, che a loro volta si separano ancora in 3 parti, fino a creare 72 tempi diversi. Ogni 5 giorni subentra una stagione diversa, che crea immagini piene di poesia; così dal 10 al 14 maggio: I lombrichi spuntano dalla terra, il calore del vento dal 7 all11 luglio, I fiori di pesco, dal 10 al 14 marzo…Vi si coglie in questo modo antico di vivere il tempo, la bellezza delle sue variazioni, 72 inizi in cui sono nascoste le meraviglie del mondo. La lingua giapponese possiede termini spesso intraducibili, la   scrittura è fatta di disegni, elementi presi dal mondo vegetale, minerale e animale.  

La società giapponese si è sviluppata attraverso lo spirito di collaborazione e l’armonia del gruppo, più che sull’interesse personale, al contrario del nostro Occidente. Claude Lévi-Strauss, scrisse che in Occidente si susseguono stili di vita, mentre in Giappone coesistono, appunto per cercare l’Armonia; ne dà conferma il sincretismo religioso che vede shintoismo e buddismo convivere nello stesso luogo. 

Suzuki Daisetsu, massima autorità giapponese nel buddismo Zen, indicava 4 elementi come <<necessari per portare l’arte a un esito soddisfacente ed essenziali nella vita ordinata di una comunità>>: Armonia(wa), riverenza (Kei), purezza (sei) e tranquillità (Jaku). L’autore ci ricorda l’importanza del rapporto tra spirito e forma, perché lo spirito si esprime attraverso le infinite forme, ma il vero fascino della cultura giapponese sta nella capacità di attribuire valore a ciò che non si vede, il massimo della bellezza è quindi nell’incompleto, il cerchio che resta aperto, il bianco che lascia spazio tra le parole, il vuoto che è origine del tutto. Il pensiero giapponese è infatti impregnato dal concetto buddista di mujo, l’impermanenza, per cui la felicità si può raggiungere solo prendendo distanza dalla materialità del mondo, delle passioni, che ci confondono e ci allontano dal centro, dalla nostra sfera reale. L’eccesso di beni materiali del nostro Occidente carico ormai di superfluo, di illusioni e false aspirazioni ci rende egoisti e infelici, precari e soli. 


[1] Ernaux A, Gli Anni,

[2] Caputo C, La porta sulla luna, Terra d’Ulivi, Lecce 2022


Bibliografia 

Lévi-Strauss C. l’altra faccia della Luna, Bompiani, Milano 2015

Tollini A. La cultura del tè in Giappone e la ricerca della perfezione, Einaudi, Torino 2014 



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