Racconti di sopravvivenza e perdita - Perché la guerra chiede di finire
Ivor Prickett, Slavica Eremic nutre il suo bambino Nikola mentre il marito dorme

Racconti di sopravvivenza e perdita - Perché la guerra chiede di finire

diAlessandra Gasparini

Premessa

Accendo la radio mentre sono al volante e sento la conferma di quanto mi era purtroppo noto da tempo: sono 117 milioni le persone in fuga da guerre e disastri climatici. Oggi, un terzo in più che nel 2012. Elevatissimo poi il numero di respingimenti di esseri umani che vengono rimandati indietro o inviati nelle carceri libiche, dove sono sottoposti a detenzione forzata, stupri, torture, schiavitù. Piena responsabilità di noi europei, che continuiamo a chiudere gli occhi, come ci indicano i resoconti dei disastri  in mare o prima di tentare gli approdi,  dei mancati interventi umanitari. Ce lo documentano quotidianamente associazioni  come Emergency , Amnesty International, e molte altre che si occupano di diritti umani.

Ivor Prickett.  “No Home from War: Tales of Survival and Loss”

Raramente entri in una sala espositiva e ti assale con immediatezza un’immagine, poi un’altra, poi l’intera stanza, che ti parla attraverso scatti vibranti, densi di colore, intrisi di vita vissuta. Prima ancora di averli osservati a lungo, decifrati. Questo l’effetto prodotto dalle immagini di Ivor Prickett, giovane fotografo irlandese che vive e lavora ad Istanbul, esposte alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia, nell’ambito del Festival Fotografia Europea 2023. Cinque sono le sale allestite, in ciascuna si parla di esseri umani che cercano di sopravvivere agli orrori e alle devastazioni prodotte nei loro paesi dalla guerra. Con più di 50 fotografie Prickett ci porta attraverso la dimensione quotidiana di chi subisce il conflitto, raggiungendo i luoghi della migrazione e del tentato rifugio,  giungendo poi in Iraq e in Ucraina, sui fronti  in cui il conflitto agisce e produce immediatamente i suoi effetti.

Il percorso espositivo

Prima e seconda sala: Returning Home/ Croazia, Serbia 2006 – 2008/ Abkhazia 2010

Ogni profugo ha un nome, un’identità, una storia.  Prickett sa riprodurre, con impiego sapiente di forme, di colori, di luci ed ombre, immagini che ci ricordano capolavori della pittura classica. Riesce a creare un’atmosfera sospesa e al tempo steso reale. La sospensione di vite interrotte, spezzate, umiliate, riprese, ritornate, nel tentativo di ricostruire la quotidianità in mezzo alle macerie, morali e materiali.

Nelle prime sale sono raccolte opere che il fotografo  ha realizzato nei Balcani e nel Caucaso tra il 2006 e il 2010. Uomini, donne, anziani, bambini, vivono nel’assoluta precarietà , di questi Prickett sottolinea il senso di abbandono, la solitudine, la malinconia, il dolore della lacerazione. Così per la giovane Slavica, che dà da mangiare al suo bambino ; accanto a loro il marito, che riposa. Milan, croato, è rientrato  dopo 12 anni di esilio in Serbia, uomini della Croce Rossa misurano porte e finestre della sua casa, da ricostruire. Anche la casa di Maria è stata distrutta, la dovrà ripulire dalle macerie e per un momento si riposa. Stana ritorna dal bosco, dopo avere attinto acqua potabile dal pozzo. Una piccola bambina saluta la nonna attraverso la vetrata della finestra. Vediamo il suo visino fresco riflesso, quello segnato ma gioioso della nonna al di là del vetro. Le loro mani, seppure separate, si congiungono. Due bambini, un maschio e una femmina, a Gali, in Abkhazia, hanno ripreso la scuola e seguono la lezione con la massima attenzione. I loro abiti colorati coronano i loro sguardi speranzosi. A Gali c’è ora un unico ospedale e la dottoressa Thsira Chaprwa cura a domicilio i pazienti. Nel suo sguardo ci sono stanchezza e inquietudine, consapevole che può fare ben poco, da sola. L’adolescente Christina emerge dal buio della stanza, ha un cerchietto argentato tra i capelli e in braccio il suo fratellino, nato da pochi mesi. Una famiglia  della Georgia ha eretto un altare in un angolo della casa, con santini, icone e immagini religiose, pochi fiori bianchi e rossi in un piccolo vaso di vetro. Altre storie. Altre …

Terza sala: Seeking Shelter (cercare rifugio), from Syria , 2013 -2015

Assistiamo in questa stanza alle immagini di una Siria massacrata da decenni di guerra. Gli scatti si riferiscono in particolare agli anni tra il 2013 e il 2015. Vediamo i rifugiati siriani accampati in Libano, vicino alle baracche che li ospitano. Siamo poi a Lesbo, dove è attivo uno dei numerosi incendi che volontari greci tentano di spegnere. Molti rifugiati, quelli che dopo un interminabile e pericoloso viaggio in mare, in mano a trafficanti senza scrupoli, approdano all’isola greca, devono percorrere 65 chilometri a piedi per cercare di avere i documenti che permettano loro di fermarsi. Un destino massimamente incerto li attende. Ahmad prega. Susan ha attraversato l’Egeo per arrivare fin qui, con il marito e i tre bambini. Raggiunta la terra sviene per la stremante fatica che ha dovuto sopportare. Nello scatto successivo, i vestiti bagnati di donne, uomini, bambini, che hanno attraversato l’Egeo dalla Turchia a Lesbo, sono lasciati sugli scogli ad asciugare. Questa immagine mi colpisce più delle altre: sono vestiti fradici, a cui mancano i corpi vivi, ma che fanno sperare in un futuro in cui qualcuno potrà indossarli.

Quarta sala: End of the Caliphate, Syria, Iraq 2016 -2018

Ne scelgo tre. Un gruppo di giovani addossati a una parete rocciosa procede incerto, riparandosi dall’atroce caldo sulle rive dell’Eufrate, sotto un ponte distrutto, a Raqqa. Un piccione viaggiatore e un canarino, appoggiati sul divano di una casa distrutta, sono ritrovati vivi dai soldati.  I civili sopravvissuti alla battaglia di Mosul formano una lunga fila per ricevere viveri. Tante donne, visi nascosti sotto i burqa neri. Tra di esse spicca il volto spaventato e bellissimo di una bambina dai capelli dorati, che si lascia schiacciare nell’abbraccio ai corpi di due donne, per cercare protezione.

Quinta sala: Fighting to exist. Ukraine 2022 – 2023.

Scelgo un’immagine fra tutte. Un soldato inginocchiato estrae da una cassetta una cintura di proiettili, li osserva con la luce di un cellulare che tiene in mano, li tocca, sembra che stia contemplando  un prezioso tesoro. Un altro militare con il casco, in piedi, li guarda trattenendoli. 

Perché non sopporto questa immagine, una fotografia meravigliosa? Perché so che questo è stato e continua ad essere il nostro assurdo, irrazionale contributo a una guerra i cui effetti possono essere incalcolabili. Fuori da qualsiasi nostro controllo. Non perseguendo la possibile strada della diplomazia, ma continuando a fornire armi ai soldati e immenso, incommensurabile potere ai loro produttori. In quasi tutte le città d’Italia  sono sorti , ad opera di numerose associazioni contro la guerra, banchetti referendari per chiedere l’avvio di un percorso diplomatico che porti alla cessazione di un conflitto di pericolosità estrema. Non vengono pubblicizzati dai media, per questo è necessario informarsi e intervenire prima che sia tardi. Per l’Europa e per il mondo.

Conclusione

Da parte mia l’invito, per chi può, a partecipare a questa indimenticabile esposizione fotografica, che la Collezione Maramotti ospiterà , assieme ad altre mostre di grande pregio, con opere di giovani artisti, sino al 30 luglio.


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