Recensione ‘Di polvere e d’azzurro’ di Noemi Carcea
Elio Scarciglia, Museo della poesia, Jasi, Romania

Recensione ‘Di polvere e d’azzurro’ di Noemi Carcea

diMimma Leone

L’ essenziale come orizzonte

Con armonia meditativa e coerenza formale, Noemi Carcea consegna al lettore una raccolta di componimenti brevi che si configura come un itinerario di progressiva rarefazione, in cui la parola si fa occasione di scavo interiore e di riconquista dell’ essenziale. L’ autrice sembra muoversi da una consapevolezza quasi ascetica, cogliendo la ricchezza della sottrazione in tutta la sua peculiarità d’ ossimoro, in quanto focalizza e circoscrive il superfluo, rendendo possibile la radice perpetua del presente per riappropriarsi di un tempo puro, autentico.

Scandita dal ritmo lento delle stagioni e dei cicli naturali, la sua poetica si adegua ai passi dell’attesa divenendo tensione costante fra la concretezza del vissuto e la spinta verso una dimensione cosmica e originaria. L’ anelito al silenzio, al sonno, al vuoto, non rappresenta una fuga dalla realtà, bensì un desiderio di dissoluzione nell’ ordine universale, in quel ‘Tutto’ da cui ogni cosa proviene e a cui ogni cosa tende. La natura, qui elemento fondante dell’ immaginario, si eleva a maestra di equilibrio e pazienza: nei semi che germogliano al buio, nei mutamenti stagionali, nel perpetuo alternarsi di luce e ombra si riflette la condizione stessa dell’ esistenza umana.

All’ interno di questo percorso, la solitudine si rivela non come condanna, ma come condizione generativa. ‘Farsi margine’, scrive implicitamente l’ autrice, significa assumere la distanza necessaria per ascoltare, per respirare il buio e adeguarsi alla lentezza. È in questa sospensione che i versi trovano ossigeno, facendosi al contempo rifugio e faro, strumento di resistenza e di salvezza.

Uno dei tratti più significativi della raccolta risiede nel dialogo costante tra memoria e proiezione. Lo sguardo rivolto al passato (ai laghi della giovinezza, all’ ombra paterna, a quei baci sotto al ciliegio) non indulge alla mera nostalgia, ma diventa opportunità di conoscenza e rielaborazione identitaria. La memoria è croce e delizia: fonte di dolore e insieme matrice di rinascita. Proprio dal confronto con l’ assenza, che nell’ oscurità si fa più tangibile, ha origine la forza per abbracciare, con un balzo in avanti, il futuro come dimensione altra, in cui il vissuto si trasfigura in promessa di compimento. Il registro espressivo di Carcea prevede anche momenti di accelerazione dell’ incedere, modulando la voce poetica secondo un sentire che rispecchia il movimento stesso del pensiero. Ne risulta una tessitura lirica in cui la malinconia non è mero tono emotivo, ma principio strutturale della sua visione: una malinconia che illumina, più che oscurare.

E' dunque un’ opera di maturità stilistica e di profonda consapevolezza estetica. Attraverso un linguaggio puntuale eppure misurato, Noemi Carcea riconduce la poesia al suo nucleo originario: la ricerca di senso nel transito, la riconciliazione fra l’ umano e il cosmico. Tornare indietro, suggerisce implicitamente l’ autrice, è lecitosolo per prendere la rincorsa verso il miracolo dell’ riscattata dal silenzio, torna a dare forma al mondo.

alba, verso quella soglia in cui la parola, riscattata dal silenzio, torna a dare forma al mondo.



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