Rifiorire da uno strappo di Annalisa Cagnetta
Elio Scarciglia, Museo della poesia, Jasi, Romania

Rifiorire da uno strappo di Annalisa Cagnetta

diMimma Leone

Il gesto sacro della fioritura


Poesia come nutrimento dell’anima. Come processo, come casa, come appartenenza. Avvolte dalle note del silenzio, i versi di Cagnetta scorrono su queste immagini, e diventano sovente corpi di dolore di forte densità emotiva e simbolica. Pagina dopo pagina, fra le righe, emerge poi un atto di cura e di rinascita, dentro scenari che riconciliano e nutrono, facendosi dimora in cui l’io si riconosce e si ricompone. L’esperienza è qui vissuta come forma di legame ma anche come possibilità di riscatto dalla sofferenza: una lingua che si fa corpo e respiro, capace guardare la ferita da vicino per poterla trattare nell’ambito di uno spazio finalmente generativo.

La chiave di lettura dell’intera opera, infatti, è sapientemente racchiusa nel titolo: ‘Rifiorire da uno strappo’ rappresenta l’idea di un’evoluzione che scaturisce dalla lacerazione, di una fioritura che non nega il trauma, ma lo attraversa. Annalisa Cagnetta esplora le soglie tra perdita e resurrezione, tra caduta e risalita, restituendo al lettore un itinerario esistenziale che oscilla tra la fine e l’inizio, tra la fragilità e la luce. I suoi versi, spesso plasmanti di un’atmosfera quasi mistica, si offrono come note misteriose che danno vita a un canto passionale di resistenza interiore, un monologo che suona come un dialogo con l’altra e con l’universo tutto.

Nel tessuto poetico della raccolta, affiora un femminino viscerale e ancestrale, presenza costante che si accende, tanto nella relazione, quanto nell’assenza. La voce dell’autrice si lascia abitare nella contraddizione dell’amore con tutta la sua varietà di bisogni e dipendenze, di tormenti e illusioni, riconoscendone la complessità, fino quasi a legittimarla. Il tormento d’amore, in fondo, ha mille volti, e il dolore è solo uno dei tanti.  

Cagnetta costruisce evocazioni potenti e materiche, senza temere l’inciampo dell’imperfezione e della vulnerabilità, in nome di una sfida più nobile, quella dell’autenticità. Il fango e il fiume, la semina e il fiore, il sole che acceca e l’acqua che culla; la natura, con la sua ciclicità, diventa specchio e simbolo della trasfigurazione interiore. La vita è descritta come un viaggio gravato da bagagli di assenze e distanze, un’odissea di vittorie e sconfitte, nella guerra intermittente delle emozioni. Tuttavia, anche nella precarietà, s’intravede l’intenzione del ritorno: si scorre ma si resta fiume, con l’infinita promessa di essere finalmente mare.

L’universo poetico che si pone all’orizzonte si distingue per l’incedere limpido e raccolto, capace di accogliere la sospensione come parte integrante del discorso lirico. La parola, mai gridata, risuona invece nella profondità dei silenzi, nel non detto che vibra tra le virgole. In questo spazio sospeso, la poesia diventa rito di riconciliazione, per brillare attraverso il gesto sacro della fioritura, anche dopo il buio più cupo e insondabile.



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