Roma città aperta di Roberto Rossellini, 1945
Alberto Cini, Argento - per gentile concessione della galleria Sgallari Arte - Bologna

Roma città aperta di Roberto Rossellini, 1945

diTeresa Mariniello

…Contrariamente a quanto afferma una frase celebre, le rivoluzioni riescono quando le preparano i poeti e i pittori, purché i poeti e i pittori sappiano quale deve essere la loro parte.


Dalla lettera di Giaime Pintor al fratello Luigi, 1943



Il cinema italiano degli anni trenta rifletteva in immagini e contenuti quanto l’autoritarismo fascista, diventato presto dittatura, voleva mostrare in termini di benessere e di progresso della società di allora. Di alcuni…

Restava occultato e nascosto dalla propaganda di regime la povertà dei più, l’analfabetismo diffuso, una condizione femminile stretta in ruoli tradizionali, subalterni, e per giunta, decantati.

Nel settembre del 43 il paese si trovò allo sbando con gli americani al sud e con i tedeschi al nord; come si ricorda Mussolini era stato deposto e capo del governo fu nominato Badoglio che autorizzò la resa in un proclama che lasciava molti dubbi e perplessità. I vertici politici abbandonarono i luoghi di potere, i reali, insieme a Badoglio e ad altri importanti componenti dello Stato maggiore, avuta la notizia dell’avanzata di truppe tedesche, fuggirono da Roma rendendola così città aperta, cioè non provvista di mezzi né difensivi né offensivi e che per questo avrebbe dovuto essere risparmiata da qualsiasi azione bellica.

Fu invece luogo di occupazione tedesca e di Resistenza romana con tutte le rappresaglie e uccisioni che ne derivarono.

Il film “Roma città aperta” fu pensato sull’onda di quei tempi difficili e fu girato nel 45. Le riprese vennero effettuate soprattutto in ambienti esterni, non avendo a disposizione Cinecittà diventata ricovero di sfollati per la parte non bombardata, e con molteplici problemi che andavano dal liberare in parte le strade dalle macerie e dai detriti al procurarsi la corrente elettrica anche lì dove non c’era.

Le strade diventarono protagoniste insieme alla storia corale di un gruppo di persone che in varia misura si opposero all’occupazione. Strade di quartieri popolari, in particolare quello del Pigneto, situato nella parte sud-est della capitale, in cui si intravedono palazzi in parte sventrati dai bombardamenti, vicini al marciapiede resti di mura antiche in opus incertum romano, più in là ancora, una chiesa da cui escono due personaggi importanti. Si tratta di Don Pietro il prete coraggioso, interpretato da Aldo Fabrizi, e un bambino, il suo chierichetto ma anche figlio di Pina, interpretata da Anna Magnani.

Ed è su una strada che viene girata la scena più famosa del film, quella dell’uccisione di Pina che corre disperatamente dietro il camion che le porta via il futuro marito, e correndo le si solleva la veste già un po’ stretta per la gravidanza, e le gambe restano scoperte quando riversa a terra muore.

Scena magistrale che rese famosa Anna Magnani.

Entrambi i personaggi, quello di Don Pietro e di Pina, fanno riferimento a persone realmente esistite, sono quelle di Don Giuseppe Morosini e di Teresa Gullace. 

Il primo inizialmente cominciò ad aiutare i ragazzi e i giovani sfollati per entrare poi più attivamente nella Resistenza romana procurando armi e altro ai partigiani; come si narra nel film fu effettivamente tradito da un infiltrato, arrestato e infine fucilato da un plotone d’esecuzione.

La seconda, Teresa Gullace, era una donna del popolo il cui marito era stato preso in un rastrellamento per essere rinchiuso in caserma ed essere utilizzato per vari lavori o essere deportato. Ogni giorno Teresa si recava alla caserma per poterlo vedere e potergli parlare, come il giorno in cui ci fu una grande protesta organizzata dai GAP e in cui le donne presenti erano più di duemila. Venne uccisa da un ufficiale tedesco mentre tentava di rompere le fila composte e di gettare un involto con dentro un pezzo di pane al marito che era comparso da una grata. Teresa era incinta di sette mesi e portava per mano il figlio tredicenne.

Questa seconda vicenda ebbe naturalmente molto scalpore; Rossellini trasformò entrambi i fatti deformando in parte la realtà storica a vantaggio di una maggiore libertà degli attori che con le loro improvvisazioni davano maggior senso al cinema di verità. 

Come in altri film neorealisti, questo di Rossellini non ha una vera e propria sceneggiatura, parte da un intreccio iniziale per poi allargarsi sul mondo circostante ancora in trasformazione, ancora intrecciato a fatti recenti. E se Pina, personaggio tra i principali e con riferimenti storici, muore a metà del film, in una complessa opera di ricostruzione del montaggio perché Magnani aveva corso troppo in fretta dietro al camion e per allungare la scena c’era stato bisogno di due inquadrature differenti, ebbene la sua morte a metà film aggiunge valore aggiungendo importanza a ciò che veramente conta, ed è la resistenza di più persone che si fanno gruppo, che si fanno movimento. 

E la città segue questo movimento e lo scandisce.

Il film si apre con una veduta di Roma dall’alto in cui domina e sovrasta la cupola della basilica di San Pietro, ampia così tanto da accogliere nelle intenzioni del progettista ogni cosa sotto il creato, ma troppo lontana dagli avvenimenti quotidiani…

Scorrono velocemente poi immagini di vie e piazze del centro, come Piazza di Spagna dove sfilano le truppe naziste, o altre di campi di periferia da cui si scorge lontano il palazzo dell’EUR, ordinato e dogmatico, simbolo architettonico del regime fascista.

Ma sono le strade di borgata, i tetti dei palazzi, le botteghe con le lunghe file per il pane, i portoni da dove escono uomini e donne presi e spinti lungo i muri a raccontare una storia collettiva che si conclude su Monte Mario.

Lì viene fucilato Don Pietro. 

Quasi col sorriso sulle labbra al prete che lo accompagna dice: “Non è difficile morire bene, difficile è vivere bene.”

E credo che queste parole siano di Rossellini, suonano come testimonianza di ciò che si è vissuto e lascito perché non si abbia più a vivere.

Sul Monte sono presenti, oltre al plotone, un gruppo di bambini; sono quelli della parrocchia e guardano la scena oltre la rete di recinzione dello spazio.

Si allontanano poi lentamente dal luogo mentre sullo sfondo si profila la città e il film si chiude sulla stessa immagine della grande cupola di San Pietro. Presente e lontana.


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