Tre visioni un’eredità: l’arte di Dalì, Mirò e Picasso
Il luogo che ospita la mostra “I tre grandi di Spagna” si chiama Fabbrica del Vapore perché in origine, alla fine del XIX secolo, era sede, in una grande area, di un’azienda specializzata nella costruzione e riparazione di materiale ferroviario e tranviario. Data la grande richiesta di quei tempi l’azienda prosperò così tanto da inglobare parte del tessuto urbano limitrofo, diventando un luogo caratteristico di Milano.
Imponenti edifici in mattoni rossi lombardi con ampie finestre tipiche di una fabbrica, grandi archi ribassati che segnano un percorso coperto e di connessione tra corpi diversi, danno vita a un impianto a corte.
Chiuso su tre lati si apre sulla città dando come sfondo il corpo principale chiamato oggi Cattedrale.
Questo luogo è diventato oggi non solo un luogo di aggregazione giovanile con vari laboratori e atelier ma anche un riferimento importante nel panorama artistico della città, ospitando spettacoli teatrali, performance, mostre.
Dal 25 Ottobre 2025 al 25 Gennaio 2026 la Fabbrica del Vapore apre uno dei suoi spazi alla mostra: I tre grandi di Spagna. Tre visioni un’eredità.
Con prestiti da parte di musei importanti come il Reina Sofia di Madrid, il Museo Picasso di Barcellona e la Fondazione Luis Seoane di La Coruna, oltre di collezioni private si possono ammirare oltre 250 opere, alcune delle quali mai esposte in Italia. Si tratta di una selezione di grafiche, bozzetti, disegni e opere su carta che mostrano le tappe più salienti dei tre artisti spagnoli.
Si parte dalla formazione nella vivace Catalogna, di cui Mirò e Dalì erano originari e in cui Picasso arrivò poco più che adolescente, al trasferimento nella Parigi delle avanguardie che determinò nei tre artisti un sovvertimento dei canoni accademici e la partecipazione attiva a movimenti d’avanguardia. Il cubismo per Picasso, il Surrealismo per Mirò e Dalì.
Parigi fu il luogo dove le strade dei tre grandi si incrociarono.
Picasso si trasferì definitivamente nella capitale francese nel 1904, dove cominciò una fervida attività di produzione nel suo studio a Montmartre, che presto divenne un punto di ritrovo per artisti e scrittori.
Le sue opere, pur mantenendo le tematiche del Periodo Blu, caratterizzato da colori scuri e da un tratto pungente, si fanno meno cupe grazie a colori più tenui dando inizio al Periodo Rosa. Dal 1907 allo scoppio della prima Guerra Mondiale comincia per l’artista il Periodo Cubista, certamente il più importante nella sua storia, senza però distoglierlo dal disegno, dal tratto e dallo studio del corpo, soprattutto quello femminile.
Mirò arrivò invece a Parigi nel 1920 cercando stimoli nell’ambiente delle avanguardie per superare la sua dimenisione artistica catalana. Conobbe Picasso e i dadaisti di Tristan Tzara per approdare al surrealismo di André Breton.
Nelle sue nuove opere lo spazio perde profondità, il tratto è automatico e i colori esistono in base all’espressione del sentimento che vuol cogliere. Mirò vuole lasciare campo libero all’automatismo dell’inconscio, alle sue ragioni profonde.
Dalì invece dichiarò di aver conosciuto Picasso nel 1926, secondo quanto scritto nella sua autobiografia. Ma in pieno stile surrealista mescolava finzione e realtà, per cui non si può essere certi di un incontro avvenuto tra i due. Secondo testimonianze del tempo pare che il maestro lo avesse non solo accolto ma anche introdotto nel mondo culturale cittadino. Secondo altre testimonianze Picasso non rispose mai alle centinaia di lettere, cartoline, missive di Dalì.
Ma insieme ai tre grandi artisti, uniti più da una terra e da un ambiente comune che da una ricerca artistica condivisa, voglio ricordare Dora Maar, una delle fotografe più importanti all’interno del movimento surrealista francese. Anche lei presente in una parte della mostra.
Anche Maar incontrò a Parigi Picasso che rimase affascinato dalla sua eccentricità e bravura. Tra loro iniziò una relazione abbastanza duratura che portò Dora ad avvicinarsi nuovamente alla pittura tralasciando la fotografia.
Fu presente a tutte le elaborazioni del famoso Guernica, dagli schizzi preliminari, da quello del cavallo a quello della donna che porta in braccio il suo piccolo morto, sino elaborazione finale del dipinto.
Dora documentò con la sua macchina fotografica il processo creativo e le trasformazioni del famoso Guernica, molto utili al pittore per superare le difficoltà legate alla luce, allo spazio, alle dimensioni della tela.
Le fotografie realizzate da Dora Maar furono tra le più conosciute per lungo tempo a scapito di tutto il suo lavoro, oscurato dal mito del poliedrico genio.

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