“Pubblicare è la peggior cosa che uno scrittore possa fare”. La scelta di J. D. Salinger
Foto di Paola Casulli

“Pubblicare è la peggior cosa che uno scrittore possa fare”. La scelta di J. D. Salinger

diElisabetta Baldisserotto


 

 

Nel 1951 The Catcher in the Rye, romanzo di un giovane sconosciuto scrittore americano, diviene in breve tempo un best-seller e ottiene un successo planetario. Il libro viene adottato dalle scuole superiori americane e vende 250 mila copie l’anno. Einaudi lo pubblica in Italia con il titolo Il giovane Holden. Il suo autore, Jerome David Salinger, travolto dalla fama, si rifugia in una casa isolata, attorniata dai boschi nel New Hampshire e da lì non esce più. Dopo aver dato alle stampe Nove racconti (1953), Franny e Zooey (1961) e Alzate l’architrave, carpentieri (1963), nel 1965 (anno in cui appare sul New Yorker il suo ultimo racconto) smette del tutto di pubblicare. Non rilascia interviste e protegge in ogni modo legale la sua privacy. Una scelta così radicale e inconsueta non fa che alimentare l’interesse intorno alla sua figura e le ipotesi circa le motivazioni del suo isolamento si sprecano.

 

Alcuni biografi individuano nel trauma della guerra una delle ragioni della costante depressione e della scomparsa dalla vita pubblica dello scrittore. Salinger infatti, che aveva partecipato allo sbarco in Normandia ed era stato imprigionato in un campo di concentramento tedesco, soffriva del disturbo di stress post-traumatico e gli era impossibile dimenticare l’odore dei corpi bruciati.

Altri segnalano l’abbandono della sua prima fidanzata, Oona O’Neill che lo lascia per sposare Charlie Chaplin. Altri ancora imputano l’isolamento al suo interesse per il misticismo di matrice induista e per il buddismo zen. Il documentario di Shane Salerno, Salinger. Il mistero del Giovane Holden, ricostruisce la sua vita attraverso testimonianze di ex commilitoni, compagni di classe, amanti, figli, amici intimi, editori, colleghi, stalker, attori e personaggi noti e meno noti, ciascuno con un suo punto di vista circa la scelta di Salinger.

 

Ma forse, per capire l’autore si può ricorrere al suo personaggio, Holden Caulfield, dal momento che lo stesso Salinger ammise che Il Giovane Holden era una specie di autobiografia e che la sua adolescenza era stata molto simile a quella del ragazzo del libro. Come Holden, infatti, Salinger aveva sempre avuto problemi a scuola e alla fine aveva abbandonato gli studi.

 

Holden è un sedicenne alto (1,89), bello come un attore, con i capelli ingrigiti troppo presto, gran lettore e bravo a fare i temi, che però odia il mondo della scuola e viene regolarmente espulso. “Ragazzi, se la odio. È piena di palloni gonfiati, e non fai altro che studiare, così impari quanto basta per essere furbo quanto basta per poterti comprare un giorno o l’altro una maledetta Cadillac”. È in lotta con la società, di cui denuncia le storture. Non tollera l’ipocrisia degli adulti, li trova “fasulli” come “la gente che si consuma gli stramaledetti occhi a forza di piangere per le cretinate balorde dei film, e nove volte su dieci in fondo in fondo sono degli schifosi bastardi. Senza scherzi”. Ha problemi relazionali e vive in una sorta di continuo spaesamento. “Le ragazze, non sai mai quello che gli gira per la testa”. Un personaggio controcorrente, la cui critica colpisce al cuore il perbenismo borghese, ma incapace di adattarsi. “A te non piace niente di quello che succede” gli dice la sorellina Phoebe. “Non ti piace nessuna scuola. Non ti piacciono un milione di cose. Non ti piace”.

 

Il prossimo è un problema per Holden, che dal prossimo finisce sempre per sentirsi ferito se non addirittura traumatizzato. Fantastica di far finta di essere sordomuto “così mi sarei risparmiato tutte quelle maledette chiacchiere idiote e senza sugo” e di costruirsi una capanna da qualche parte in cui passare il resto della vita. “Me la sarei costruita vicino ai boschi, ma non proprio nei boschi, perché volevo starmene in pieno sole tutto il tempo (…) Avrei messo questa regola, che quando venivano a trovarmi nessuno poteva fare cose fasulle. Se qualcuno cercava di fare cose fasulle, doveva andarsene”.

 

E così fa Salinger, che si ritira a Cornish per costruirsi uno stile di vita adatto alla sua personalità, dove può sentirsi pienamente se stesso. E lì continua a scrivere, ma solo per sé. “Non pubblicare mi dà una meravigliosa tranquillità. Mi piace scrivere. Amo scrivere. Ma scrivo solo per me stesso e per mio piacere”. Scrivere per se stessi significa utilizzare la scrittura come medicina per curare le proprie ferite. Rivendicarla come luogo di raccoglimento, scavo, conoscenza ed espressione di sé. Come un luogo per espandere la propria interiorità e darle forma.

 “Mi piace scrivere per me stesso. Pago per questo genere di atteggiamento. Sono conosciuto come una persona strana e distaccata. Ma tutto quello che sto facendo è provare a proteggere me stesso e il mio lavoro”.

Non pubblicare più, infatti, gli permette di conservare una purezza d’intenti, evitandogli di piegarsi alle mode letterarie, alle pressioni e alle falsificazioni dell’industria del successo. E di sottrarsi alle conseguenze della fama: essere un dio o un demone per qualcuno, essere espropriati della propria identità, non più persona ma personaggio.

 

Quando Holden, pungolato da Phoebe, si sforza di pensare a cosa gli piacerebbe fare nella vita, si immagina come un “catcher in the rye”, ovvero un acchiappatore in un campo di segale. “Mi immagino sempre tutti questi ragazzini, e intorno non c’è nessun altro, nessun grande, voglio dire, soltanto io. E io sto in piedi sull’orlo di un dirupo pazzesco. E non devo fare altro che prendere al volo tutti quelli che stanno per cadere dal dirupo, voglio dire, se corrono senza guardare dove vanno, io devo saltar fuori da qualche posto e acchiapparli. Non dovrei fare altro tutto il giorno. Sarei soltanto l’acchiappatore nella segale e via dicendo. So che è una pazzia, ma è l’unica cosa che mi piacerebbe veramente fare”.

 

E forse è questo il ruolo salvifico della scrittura: prendere al volo quelli che stanno per cadere nel dirupo.


                                                                    



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