Breve intervista a Mariangela Ruggiu
Foto di Elio Scarciglia

Breve intervista a Mariangela Ruggiu

diSebastiano A. Patanè Ferro

Leggendo l’ultima pubblicazione di Mariangela Ruggiu, Ode alla madre, un libricino con dentro venti poesie e tanto amore/dolore, che si connette con immediatezza particolare al sentimento del lettore, ho sentito la necessità di chiedere all’autrice stessa, sui meccanismi che tra-sformano la parola comune in qualcosa che s’innalza oltre una certa normalità per raggiungere il cuore profondo di ognuno, quella parte nascosta che, a volte, non si sa neanche di possedere, di là dal motivo stesso.

 

L’assenza che si fa, d’un tratto, acuta presenza; il rumore che diventa urlo devastante, pacato in alcuni brevi tratti, ma corrosivo comunque; i dintorni che cambiano colore e il fluire del tempo, come se lo stesso risentisse dell’avve-nimento doloroso, che sembra rallentare quasi a fermarsi.

 

Mi domando e ti chiedo se è sufficiente tutto questo, o si deve possedere necessariamente un’anima “diversa” per far scattare quel meccanismo di trasformazione della parola?

Il rapporto madre-figlia è un rapporto mai statico, se agli occhi della figlia la madre appare immutabile, diverso è il sentire di sé che cambia fino al punto in cui coincide con la madre e il rapporto diventa paritario, le differenze comprese, le tensioni allentate, e sembra che il percorso proceda parallelo finché le parti non si invertono e diventa, nell’accudimento, figlia la madre e madre la figlia.

Questa premessa è necessaria, perché è in questo percorso che sono nate queste poesie, durante lo svolgersi del viaggio di ritorno quando, accanto al dolore immaginato della perdita, fioriva la bellezza del sentire il tempo condiviso, la bellezza di sentirsi corpo unico che custodisce e genera vita e conoscenza.

E c’è la consapevolezza di una potenza che piega il dolore, ne fa parola comune che porta i codici del viaggio, li posa sugli occhi come semi che tutti conosciamo, perché qualunque vita ha attraversato un corpo di madre, prima di essere. Forse è questo sentire così affinato che non sa distinguere il senso della Madre dalla poesia.

 

Quando, Mariangela Ruggiu donna, smette di essere figlia e, seppur mantenga il legame per quanto flebile, diventa poeta? Si può ritenere un’ulteriore benedizione, l’impronta della poesia, una sorta di antistress, che aiuti la madre ad affrontare una nuova forma di vita?

La poesia è come un vaso in cui matura il sentire, in cui le percezioni vanno oltre il personale, non è solo il momento del dolore e della morte, tutto trova il perfetto incastro nell’attimo che sembra strappo e invece è illuminazione, e Lei non è solo la mano che ci ha accompagnato, Lei diventa la strada, oltre qualunque ragionamento, oltre l’indicibile, solo un segno luminoso nel solco della poesia.

 

Ha, Mariangela Ruggiu un piccolo aneddoto, un insegnamento della madre che, sopra ogni storia, ha segnato la sua vita e che trasmetterà ai figli?

Quello che mi resta è la sua forza nel gestire il dolore tanto da mettere in secondo piano la sua persona, ma leggo questo non come una rinuncia, un sacrificio, piuttosto un segno del suo grande potere.

 

 

Questa triste esperienza, questa nuova solitudine, ha, probabilmente modificato l’essere poeta ma credo che in particolar modo, smettere di essere figlia e madre, divenendo madre e madre, abbia sconvolto la vita della donna.

Come riempie questo grande vuoto Mariangela Ruggiu?

La morte della propria madre provoca un forte cambiamento, anche se avvenga il più tardi possibile, è come se mancasse il riferimento del proprio pensiero, è come trovarsi improvvisamente soli in una vasta distesa, ma non è un vuoto … resta grande come una montagna, l’amore finalmente rivelato, libero dalle ombre, dagli errori, dal non detto. Resta la consapevolezza di portare in sé il dono dell’amore ricevuto, resta di portarlo nel mondo, e di questo amore essere piena e di goderne sempre.

 

Voglio concludere con un breve testo tratto da questa meravigliosa “Ode alla madre”.

 


madre quando andrai

sarà l’ultimo parto

 

nascerò posata dalle tue mani

come su un letto di neve

 

sola senza il calore della tua pelle

 

una fame senza più sena a saziarla

una paura senza il tuo abbraccio a custodirla

 

ma ho imparato da te a partorire

a guardare il dolore e chiamarlo per nome

 

quando te ne andrai non te ne andrai

solo mi aspetterai altrove

Lasciami due parole su questa poesia che sento come tra le più commoventi della plaquette.

La madre è cibo, calore, riparo a cui prima o poi dobbiamo rinunciare, e sarà uno strappo, ma sarà anche un passo in avanti, consapevolezza del nostro essere figli, anelli della catena che ci lega, a passarci di mano in mano il mistero della forza che ci accompagna in una dimensione che annulla le distanze; c’è un ponte tra il mistero e il conosciuto, tra il qui e l’altrove, tra la vita e la morte. C’è sempre una Madre che ci aspetta e ci indica la strada.

 

 

Ringrazio Mariangela Ruggiu per la disponibilità a rispondere su un argomento così delicato. Grazie.





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