Copoccelli /Mazzei "Galatea"
Foto di Paolo Danise

Copoccelli /Mazzei "Galatea"

diCinzia Caputo

“L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibili” [1]

Le cose visibili sono colpite   da una decadenza che non avrebbe senso semplicemente ripetere o imitare, l’artista rende visibili forze e potenze ancora nascoste, possibilità di vita e di salvezza custodite nell’ombra. L’arte, come “specchio del mondo”, ri-conduce il reale a forme mitiche elaborate dalla fantasia dell’artista, come nel caso di questo dialogo scritto a due mani, in un gioco di specchi e di rimandi, sul mito di Pigmalione e la sua creatura, Galatea.  Il tema è quello della trasformazione: dalla statua alla donna resa viva da Afrodite. 

Galatea/Imperiosamente murata nel marmo nel giorno,

a visibili occhi profani/strabiliati solo dalle sue vesti e linee sinuose

che richiamano la carne nella morbidezza, colore,/ma ancora chiusa nel flusso del sangue e delle vene,/ma la notte/misteriosa lei alle mani compiaciute e trepide di Pigmalione

si anima..

 Il desiderio di trasformazione dell’altro in amore è antica quanto l’uomo, amare è trasformare,  perché rappresenta l’innamoramento di sé con un ‘altra parte di sé; come accade nelle nozze mistiche dell’alchimia.   

Pigmalione  non guardi attento la tua opera/per farla uscire definitivamente/dalla pigrizia della materia e darle sorriso di carne/e io Galatea resto impedita ad affrettare tempi/e soffro nel non darti nel non averti

nell’unione mistica nuziale. 

Dare vita a ciò che è dentro di noi e vederlo nascere è un bisogno dell’essere umano, 

perché il reale emerga dalla materia, l’artista deve avere in sé l’immagine da creare. 

Ma quando giunsi, tu te ne stavi, in attesa e senza saperlo,

dagli altri artisti rifiuto perché diversa dagli altri marmi, un

colore che assumeva scandalosamente venature di carne e ingannava

l’occhio non abituato al respiro della materia, io vidi

non sotto le mani che pure volevano già agire, ma sotto gli

occhi che il marmo, il tuo si apriva, come carne viva e si disponeva

nel suo palpitare secondo strati, come ogni vivente,

ossa, cartilagine, tessuti, vene, pigmenti, fino alla pelle…

E nell’animarsi della creazione c’è come uno scambio tra l’alterità dell’uno e dell’altro dove i confini si perdono. 

Si, lei/era un’immagine così carnale da darmi inquietudine e brividi concreti. Lavoravo, mangiavo e lei era il gusto delle mie azioni e la notte il motore dei miei sogni. Musa, nuda e velata da un lieve drappo bianco, come modella per uno scultore ed io a guardare, quel dolce supplizio.

E nella tensione amorosa  dell’incontro con l’altro trova la sua essenza, si ritrovano la dimensione esistenzialista dell’essere-nell’amore, caratterizzato da un fuori dal tempo e dallo spazio “..Io voglio che duri ciò che annulla la durata…io sogno… un’ora che fosse fuori dal cerchio delle ore” [2]. In essa inoltre c’è anche la tensione verso il recupero di se stessi. L’utopia del ritorno ad una perfezione, il ritrovamento del paradiso perduto dell’infanzia. 

Il rapporto d’amore, dunque è tale nella misura in cui rappresenta una tensione, mai risolvibile che, partendo dalla differenza, dall’alterità, si muova verso un annullamento delle differenze, senza mai raggiungerlo, pena la caduta del rapporto stesso.  

i loro sguardi coincidono, e insieme, sono lo sguardo del mondo, senza tempo, senza

spazio, senza interessi contingenti…

….a cercare come convivere urgenza di esistere e statua

fino a diventare tu

artefice di te stessa

ignorando Pigmalione

La capacità di amare l’altro per ciò che è veramente è ben  altra cosa, esiste infatti un’altra versione del mito di Galatea, in cui la ninfa innamorata di un giovane pastorello, è a sua volta amata da Polifemo, non corrisposto. Il quale sorprendendo i due amanti   mentre amoreggiano al chiaro di luna, getta un masso enorme che uccide il rivale.  Questo racconto rappresenta l’ombra dell’amore, la sua natura distruttiva.  Cercando l’amore, Polifemo dà la morte a causa di questa adesione totale ed idealizzata. Al contrario, i nostri due autori cercano l’alterità l’uno dell’altro…

 “cura” è anche prevenire che il carezzamento della parola/possa essere letale, se proviene da uno che la usa come la intendeva Gorgia da Lentini: seduce, muove, ammalia, ma senza far riflettere e guardarsi dentro e prendere in modo autonomo e consapevole una decisione…

…………….

Non alludo a sinuosità accattivanti (quelle le ho già), ma a

quella forma dell’anima desiderosa di luce e pienezza di senso.

 Gli autori sembrano dirci che l’opera d’arte è dotata di una personalità distinta e indipendente da chi l’ha creata.  Seguendo la lezione di Kandisky [3] :"La vera opera d'arte nasce 'dall'artista' in modo misterioso, enigmatico, mistico. Staccandosi da lui assume una sua personalità, e diviene un soggetto indipendente con un suo respiro spirituale e una sua vita concreta."

Mi congedo da te, 

Galatea, ti ho costruita e modellata con gli occhi e con le mani

Ora ti appartieni, 

intatta, nell’interrotta vita del mito

che non temi squarci e perdita

e tu ad essere sempre così, eterna

irrimediabile zampillo di liquide parole


L’uso del mito e la sua importante rielaborazione da parte degli autori attraverso un linguaggio denso di simboli, metafore e contaminazioni, rivela profonde e universali verità, nelle quali si celano le chiavi della conoscenza del progetto della vita umana. 


_______________

[1] Klee P. La confessione creatrice

[2]   Barthes R. (2007) Frammenti  di un  discorso amoroso.  Mimesis Edizioni, Milano 2015, p. 590.

[3]   Kandisky W, Lo spirituale nell’arte, Sé edizioni, Milano  1989


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