
Cristianesimo e sacralità
A livello dottrinario, il cristianesimo si distingue dalle altre religioni, per i seguenti aspetti:
- Fondante, tramite ciò che dice San Giovanni nel Vangelo” Siete nel mondo , ma non del mondo”,
- Dall’unicità del comandamento, unico rispetto alle altre religioni” Ama il prossimo tuo come te stesso”; si diversifica anche a livello metodologico
- Nella sua duttilità di sapere essere aspirazione al divino, ma anche capacità di creare strutture, apparato storico (la chiesa) per poter evangelizzare il mondo.
- Da quanto detto possiamo vedere che il cristianesimo oscilla tra atteggiamenti rigorosi, difendendo le proprie posizioni fino al martirio (specie nel suo nascere con le persecuzioni subite) e sapersi muoversi nella storia (con la creazione della struttura Chiesa) con opportunismo, cinismo, aspetti aberranti: inquisizioni, crociate ecc.
Detto ciò, si evince che il cristianesimo non è una filosofia, tanto che Heidegger sosteneva che parlare di filosofia cristiana è una contradictio in terminis” un pezzo di legno di ferro”; e non è nemmeno una sistemazione economica (nonostante il tentativo del filosofo Nozick di darle un senso tramite concetti quali la trinità, l’incarnazione di Cristo e altro). Le stesse encicliche dei papi hanno altro senso, non certo una dottrina economica e sociale.
Il cristianesimo, nel suo adagiarsi nella storia, oltre ai momenti predetti, condannabili ed altri, si è sempre distinta per essere stata capace di avere un apparato sistematico teologico di grande rilievo (cito i padri della chiesa, la scolastica e in primis chi ha sistemato e dato impostazione alla sua dottrina: San Paolo), momento di rinnovamento e freschezza di idee (i concili, le encicliche), un grande apparato organizzativo (l’assetto diplomatico), sangue nuovo attraverso i santi, gli ordini religiosi, le missioni.
Per quanto concerne l’apparato del sacro, ha dato risposte significative in modo particolare tramite la lingua ufficiale, universale, il latino, la liturgia (la messa, le feste, il rito, il sacerdozio, le chiese, il canto gregoriano) gli ordini monastici, le abbazie ecc.
Tutti questi aspetti erano e sono in adeguamento a ciò che significa il “sacro” in se stesso: invocare la divinità, saperlo isolare dal nominarlo, e non banalizzarlo con quotidiane apparizioni, tramite oggetti, luoghi, eventi, persone idonee al culto.
Dalla nube del vecchio testamento per nascondere l’arca sanctorum, il cristianesimo ha creato tracce vive nell’esperienza umana, con i paramenti, l’organizzazione della liturgia, l’isolamento, fisico e anche nell’apparire, del prete (non avere propria famiglia, la tonaca ecc) proprio perché il sacro, per essere tale, deve conservare questo distacco, riverenza e timore, dalle vicende concrete del quotidiano.
Molti di questi aspetti restano nel folklore come baciare il pane se cade, non nominare Dio (nel vecchio testamento il Dio ha quasi cento modalità di nominarlo, per evitare di chiamarlo secondo il proprio nome: nel popolo, non si nomina Dio né il suo avversario, il diavolo: il bruttobestia), nella circolarità del lievito per panificare ecc.
Il più grande sforzo di rinnovamento e “rappresentazione del sacro”, la chiesa cattolica, anticipando i tempi, rispetto anche alla società civile, l’ha avuto con il concilio vaticano secondo.
Commettendo, però, alcuni errori di valutazione.
Ha aggiornato il rito (messa non più in latino, clergymen per il prete, sobrietà nella predica, disposizioni diversa del celebrante durante la messa, smantellamento della religiosità popolare come se fosse ormai solo un residuo emotivo e non invece un radicamento del sacro nel quotidiano) e, in modo particolare, specie con l’enciclica “Populorum progressio” di Paolo VI e con al teologia della liberazione, un adattamento, pericoloso, del proprio linguaggio a quello sociologico, con sfumature di sinistra. Ora chi abdica alla propria lingua, perde se stesso, per usare un’espressione di Heidegger “Il linguaggio è custode dell’essere”.
Lo svecchiamento del rito, avvenuto in modo repentino e senza preparare gli animi (con dissensi anche nella chiesa, e non mi riferisco al vescovo Lefebre, ma allo stesso Maritain, agli intellettuali, per restare in Italia, di Cristina Campo e il suo compagno, il filosofo Elimire Zolla), senza un’adeguata premessa teologica, ha creato scompensi nella vita quotidiana del cristiano. Il sacro, il divino, e in questo sono d’accordo con Galimberti, deve restare per certi aspetti “ignoto” per non perdere quell’aspetto del timore e inaccessibilità: l’incomprensibilità del latino nella liturgia della messa (anche se banalizzata in un passo del “Il Gattopardo”) serve a rendere inaccessibile il dio, il sacro, creando quella distanza psicologica che piega il nostro animo alla preghiera e alla riverenza. Così si dica della tonaca del prete, del gregoriano, compresa l’impostazione della costruzione delle chiese, secondo una tipologia tutta propria, e non certo anonima come un qualsiasi appartamento, senza acustica per la sonorità vibrante del gregoriano, con affreschi, come modelli di riflessione e meditazione del credente. (la stessa cosa si dica per processione liturgia ecc.).
Cosa che, invece, sosteneva Galimberti hanno conservato i rappresentanti della legge, della giustizia (la toga del giudice): non è vero che il saio non faccia il monaco.
Lo stesso operato di papa Francesco (enciclica in italiano, con nessun riferimento ai padri della Chiesa, come avviene in “Laudate sii”, le sue continue apparizioni, ecc.) ne svalutano il ruolo, più che renderlo espressione del Cristo in terra: il paragone con papa Ratzinger lo penalizza.
A ciò si aggiunga: l’impreparazione dei sacerdoti, specie quelli che vengono dall’Africa, la mancanza di linfa con nuovi ordini monastici, la sudditanza della teologia cattolica a quella ben più agguerrita e valida protestante, hanno fatto slittare la verticalità del messaggio evangelico “siete nel mondo, ma non del mondo” a semplice sociologismo, volontariato che fanno meglio i partiti, i sindacati, la società laica.
Manca, e questo è invece prerogativa del cristianesimo, quel supplemento d’anima di cui parla Bergson; manca l’aspirazione all’assoluto, alla capacità di volgere il nostro tempo, il cronos, in attimo, il kairos: con il messaggio evangelico il tempo si apre all’eternità (si leggano considerazioni di Heidegger su lettera ai Corinti di san Paolo).
L’aveva intuito, prima del vaticano secondo, Simone Weil, nel saggio “La persona e il sacro”: “… ciò che è sacro, lungi dall’essere la persona, è quello che in un essere è impersonale… La verità e la bellezza abitano l’ambito delle cose impersonali e anonime. Ed è questo ambito ad essere sacro”.
Solo un essere non limitato (che dura, da diventare l’espressione di ogni essere, e, perciò, impersonale) può essere il sacro, inteso come bellezza, verità.
Cristo diceva di sé: io sono la via, la verità, la vita.
La chiesa può, basandosi sulla propria singolarità rispetto alle altre religioni (anelito dell’assoluto, comandamento dell’amore), svecchiare il senso della moralità (che non può essere basata sulla sessualità, ma sul rispetto dell’altro e il senso della comunità, come per certi aspetti ha la chiesa ortodossa); coordinarsi con le altre religioni per diventare l’interiorità umana e il senso del radicamento, eticità universale, salvaguardando dignità umana, l’ambiente ecc.
Può ridiventare “lievito” come parola, insegnamento e concretezza, una aggiornamento del benedettino “ora et labora”. Ridiventare anche, come dice la Weil verità e bellezza” (che inquieta, non consola come dice Rilke).
Come avviene ancora nel popolo con la circolarità del lievito madre, per panificare, a rotazione, nel quartiere, secondo questa usanza e ritmo del rito: si tiene una parte del lievito, lo si bacia prima di donarla all’altra comare e così di seguito, attuando ciò che dice San Tommaso, della bellezza “proportio, integritas, claritas”.
Nel percorso del lievito nel vicinato, avviene la circolarità, la partecipazione di tutti, senza prevalenza di nessuno, la sazietà di ognuno secondo le proprie esigenze.
La bellezza e la verità sono queste.
E, infine: ricordare che se il socialismo è orizzontalità, senza la verticalità dell’assoluto, per lo meno è vicino all’uomo più dell’egoismo del materialismo, in cui il mondo sta marcendo, non avendo più la centralità dell’uomo, ma solo del denaro e delle banche.
Sostienici
Lascia il tuo commento