Fabio Izzo - Consigli dalla Punk Caverna
Foto di Salvatore Ruggiu, Macaona

Fabio Izzo - Consigli dalla Punk Caverna

diCinzia Caputo

Sembra di essere in viaggio, on the road trascinati dalle parole che suonano il jazz dall’autore che scrive a ritmo delle canzoni che cita. Il tempo della gioventù, ossia quel tempo interno che dà il ritmo alla vita e ti fa essere ciò che sei o vuoi essere, o anche pensi di essere, in una parola aderire a sé stessi. Un contrasto forte tra la storia che definirei anche “banale”, ma umana troppo umana della sofferenza d’amore, lo strazio dell’abbandono che affligge il protagonista all’epoca del web e una scrittura invece estrema, tagliente, attuale. Man mano però, che si entra nel racconto ci si accorge che la storia è un pretesto per parlare di un mondo, di una società sempre più travestita, ridicola nell’ aderire solo alle immagini ormai vuote, anche quando sono belle.  


"Già nell’impazzita ed edulcorata versione del mondo che ci

viene proposta da filtri fotografici, televisivi e di ogni altro

genere di ripresa dell’immagine i veri ribelli sono quelli con

la carie,

che hanno dei chili in più, senza maglie di marca, con la forfora

nei capelli, sono quelli che l’anima non l’hanno ancora

venduta all’immagine".

A questo si contrappone una visione dura, disincantata e ribelle dell’autore che fa riferimento alla cultura Punk Rock a cui appartiene.  


"Il punk non è propriamente così ma è anche così:

non è un colore, è la negazione dell’accettazione dell’amore in

un sistema, quello umano, da sempre votato allo schifo".

Feroce e tenero il suo inno alla velocità come tempo rinnegato e disprezzato perché imposto dal sistema che ruba e mangia la vita di noi umani che dimentichiamo il tempo fermo dell’attesa e dell’ascolto di sé. 


"Veloce è la lettura dei titoli del giornale e l’oroscopo in tv del

mattino;

veloce è il saluto e il bacio dato alla moglie, al marito e ai figli;

veloce sono la macchina, l’autobus o il treno che vi porta a

lavoro;

veloce è il lavoro

che chi si ferma è perduto;

veloce è la pausa pranzo coi ticket restaurant

e veloce è diventato anche il cibo nei fast food;

veloce è la pisciata in bagno

e non c’è mai tempo per cagare;

veloce è il dolore ai piedi provocato da scarpe prodotte troppo

velocemente nel veloce est del mondo;

velocemente si suda e ci si stanca, dietro a una giornata che è

stata buttata via

e che ha vede ancora la spesa da farsi"


Una critica che abbraccia anche il tema politico del Sud abbandonato dalle amministrazioni, lasciato essiccare al sole potente del Salento che descrive. 

"molto meno possibile star bene se nasci qui in questo Salento

che è il fondo dell’Italia e, forse, a causa della forza di gravità

raccoglie in caduta libera tutti i pesi del mondo."


 Qui poi si apre il sipario su un altro grandissimo tema: quello del rimanere figli, perché a questi giovani abbiamo rubato il futuro e loro sono giustamente arrabbiati perché non gli abbiamo lasciato nulla e loro sentono di non avere un progetto, una speranza per poter anche loro essere padri. Padri di cosa? padri di chi? se non riescono prima a trovare il loro posto nel mondo, ad essere autonomi e responsabili di sé stessi. L’evidente ombra nell’abbandonare una fantasia generativa è quello di compiacersi di un Eros avviluppato intorno a sé stessi che si risolve cupamente nei soliti copioni edonistici della liquidità amorosa contemporanea. Così osserviamo quanto sia pericolante il ponte  che dovrebbe condurre il singolo ad appartenere alla Comunità.


"Qui dove la vita brucia, scotta ed è qualcosa da esorcizzare

pagando un frutto alla morte, figliando.

L’unica cosa di cui siamo certi a questo mondo, noi che ci

siamo, è che siamo figli.

Figli di qualcuno, figliati.

Non siamo certi di diventare a nostra volta genitori ma siamo

sicuramente figli."

E il gioco continua in un intreccio tra antico e moderno, tra il serio e il faceto incontriamo la taranta a tempo di musica Punk .


"L’esorcismo della taranta, per uno strano scherzo del destino,

tocca a noi e non a quei gruppi che si sono sempre vantati di

portare avanti le tradizioni salentine.

 La Taranta stessa, relitto di un tempo che fu, di un malessere

che si esprimeva attraverso questo suo modo originale e attaccato

alle proprie radici, ci ha riconosciuti.

Ci ha riconosciuti nel nostro punk come suoi simili, come

relitti temporali, asincroni, che non dovrebbero essere qui ma

che ci sono, esiliati e dimenticati ma con ancora voglia di vivere

e di lottare.Il tarantismo è lo spirito scomparso di quel che era ma adesso

si è riaffacciato qui, davanti a noi punk fuori dallo spirito del

tempo."

 

E così tra contaminazione, sperimentazione, canto e  stupore il nostro sfortunato innamorato si trova ad affrontare la taranta e a guarire una tarantata e nell’improvvisazione  riconosce l’ artista.  


"Ci sono alchimie che non tornano più, intrappolate nelle note

e nell’armonia di quattro elementi, strappando il ritmo allo

scorrere del tempo, imprigionandolo ultimo nella leggenda.

In questo modo la canzone diventa preghiera, inno, salmo;

trascende dal suo significato diretto per ascendere al livello

esplicito di richiesta, di mediazione con il divino."

 

Ritrovando il sacro nella vita, si riscoprono parti di sé sepolte. In contrasto con un collettivo che privilegia la posizione narcisistica del buon consumatore, che senza freni compra, logora e sostituisce ciò che è vecchio.  Dove tutto si sostituisce velocemente, ogni oggetto è strumento, senz’anima. Facile però che la struttura “usa e getta” avveleni la nostra mente e si perda l’anima anche nelle relazioni umane.   Si conclude poi la storia con un finale dolce amaro, come la storia che racconta con passione e intelligenza, dove lo spirito trionfa, ma l’amara realtà vince. La morale di fondo risponde all’idea che la vittoria data dal senso è del perdente e la banalità e il vuoto del non senso, resta al vincente. 


"Questa è una terra di sconfitti, sì di sconfitti. Ma di gente

valida che in cuor suo sa che anche se ha perso, di valere non

dico molto ma qualcosa".

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