Icone e labirinti
Foto di Elio Scarciglia

Icone e labirinti

diCinzia Caputo

“Mi sento multiplo. Sono come una stanza dagli innumerevoli specchi fantastici

che distorcono in riflessi falsi un’unica anteriore realtà che non è in nessuno ed è in tutti.” Fernando Pessoa.

Per comprendere i testi di Vitagliano, bisogna partire dall’ epigrafe   che ci rivela il pensiero dell’autore, la vita è rispecchiamento, gli altri sono gli innumerevoli volti di noi stessi in cui ci specchiamo, ci prolunghiamo, ci amplifichiamo e ci vuole una grande umiltà nel riconoscere il gioco di specchi nella” stanza” in cui siamo immessi. Gli innumerevoli Io che Vitagliano ci presenta sono Icone di grandi autori, poeti, scrittori, attori, musicisti che ci rivelano parti del Sé.

 Sono una forza contro natura, è il testo che apre, dedicato a Pasolini ci racconta di un movimento all’indietro che va verso il passato, il sonno, il sogno, una zona di confine e quindi di passaggio come: “Se la mia anima avesse una forma sarebbe questo bicchiere vuoto al centro della tavola.”  Così come il suo impegno a dimenticare prende il volto di Borges: Lui e non la dimenticanza a negligere la biblioteca umana che aveva letto. Per poi ricordare il passaggio di una stella dal nome difficile, dedicato ai fratelli Coen.

Scrive pensando a Truffault: le dediche, così l’inchiostro trattiene i messaggi prima di svanire. A Ionesco dedica le attese di un palcoscenico vuoto. Per Kieslosky la ballerina danza maliziosa … Inciampa e cade; mentre il passato visto da J. Lemmon sarebbe stato un interminabile latrato notturno.

 Ha poi pensato un giorno di un film-maledetto FREAKS che fossero padre e figlia o l’uomo-scimmia con i mustacchi all’in-su e la donna-bambina.

Leggendo Pessoa, scopre al suo fianco nel cortile di un ospedale un uomo ubriaco. Lui dormiva su una panchina ... Eravamo due pianeti, eravamo entrambi soli.

Quando tutte le stelle sono cadute agli occhi di Levi: Tutte le nostre stelle hanno fallito nemmeno una è rimasta nel suo cielo, abbiamo scambiato i nostri fallimenti coi loro sogni.

Di Sciascia prende la contraddizione: Adoro contraddirmi e contraddire dico dire tutte le cose insieme senza comprenderle e poi fatto, fare il contrario…Tra queste due azioni il ponte non ha retto in mezzo e sono rimaste staccate lontane a fissarsi azioni e parole. Di pantani la salita per cui il sudore non scende più ma cade e rimbalza addosso come acqua a vento e il fango… vola via diventa vento.

A Natta impone la maschera ancora viva dell’ultimo segretario/sembra l’unica idea sopravvissuta sul calco funerario/prima che al cadavere fosse cambiato il nome. Il naso è stata l’ultima idea di Natta benevolo epigono dantesco della più umana di tutte le commedie quella che voleva cambiare il mondo per renderlo migliore e si è trovata invece solo con un naso adunco di becco sul cranio svuotato di un innocente vinto dai tempi prima come professore che come servitore di partito.

E se fosse vero che Pulcinella anche lui si divise fra due padroni e tra questi non c’era il Popolo?  Stanco del nome, sono rimasto in questa stanza/ Sono rimasto in mezzo ai miei abiti/ Sono rimasto solo di fronte a questo poster Di Marilyn.

 Di Silvia Plath resta un tollerabilissimo Dolore…Delle persone normali/Non esistono i diari su cui scrivere le nostre vite/Non esistono più le fotografie/Per ricordarci vivi e vegeti/Siamo perfettamente inseriti/Nei nostri ambienti abietti.

 Ai Pink Floyd dichiara: Sono tornati gli insetti /Già uditi nella profezia di Ummagumma/Torna l’umanità ad essere infestata/Per troppo tempo erano rimasti assopiti. Schiaffi. Sulle spalle. Sulle gambe. Schiaffi. Sulle guance ..Schiaffi. Gli insetti. Gli schiaffi. Con violenza . Le parole. Schiaffi. A Dolci: Quante utopie si sonno storpiate

E invece di impastarsi coi sogni/ E con il fango il fango ci ha inondato.

Conclude con il ragazzo.

 Leggerò per te

Più e più volte

I tre moschettieri

Alla ricerca di una parola

Che ho dimenticato

Quel misterioso aggettivo

A dire e a dare

L’incedere dei cavalli

Più di ogni immaginazione

Più di ogni rappresentazione

Più dell’incedere stesso dei cavalli.

 

Siamo partiti dalle Icone, i volti che Vitagliano ci ha voluto mostrare e concludo con i Labirinti.   La poesia infatti, è un labirinto come ci ricorda il sommo poeta con le parole più famose della divina commedia: E nel mezzo del cammin di nostra vita /Mi ritrovai per una selva oscura/Che la diritta via era smarrita… entriamo così nel labirinto della parola. Secondo Platone, il primo labirinto della storia umana sarebbe quello d’Atlantide, fatto di cerchi concentrici alternati di terra e di mare, con la parte di terra unita da ponti. Da sempre il labirinto simboleggia il percorso interiore.

Virgilio racconta che un labirinto era disegnato sulla porta dell’Antro della Sibilla Cumana, all’ingresso dell’Ade e che le porte scolpite che introducono al tempio d’Apollo rappresentano le gesta di Dedalo, una è di corno, l’altra è d’oro, ambedue sono porte del sogno, dell’immaginario e quindi della fantasia.  L’aprirsi-chiudersi delle porte del tempio del dio oracolare è l’aprirsi chiudersi della parola e dell’ascolto, entrare nel mondo notturno   è come entrare in un labirinto che rappresenta l’inconscio dionisiaco da cui la parola nasce per andare verso il logos della luce apollinea.  Così questi versi muovono dal profondo e si stagliano luminosi come fotografie in un proiettore dove prendono corpo, diventano storie.

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