La metafora nella lirica moderna
Paolo Menduni, Napoli è

La metafora nella lirica moderna

diLucio Macchia

La parola, appena assolta la funzione basilare di menzionare le cose, subito si astrae come segno, entra nel figurato, nel simbolico, dove il suo principale ruolo attiene al collegare tra loro le cose stesse, concrete o astratte che siano. Tra i modi di ottenere tale collegamento, uno dei più immediati e basilari è la “similitudine”. Dante, riferendosi a Paolo e Francesca, ce li descrive «quali colombe dal disio chiamate». Il procedere logico è immediato: i due personaggi sono come colombe chiamate dal desiderio. L’immagine che ne scaturisce, intensamente poetica, ha una sua struttura di pensiero estremamente chiara. Il collegamento è esplicito. A un ulteriore livello di astrazione si pone la “metafora”. «Bruto con Cassio nell’inferno latra». Non viene detto esplicitamente che latrano “come cani”: il collegamento di similitudine è implicito. L’effetto è più suggestivo, perché in qualche modo i concetti sono più strettamente interconnessi, ovvero, pensando all’etimologia del termine (metafora, dal greco μεταϕορά "trasferimento”) “trasferiti” l’uno nell’altro. Rimane, comunque, una forte consistenza logica. Potremmo dire che, in questa forma basilare, la metafora, pur astratta, rimane nell’ordine della oggettività, con il collegamento implicito ben saldo e riconoscibile. Già nella poesia barocca, invaghita dei giochi d’estro e di ingegno, la metafora viene spinta a livelli ben più arditi, con collegamenti sempre meno immediati, alla ricerca di effetti di sorpresa e straniamento. Un esempio fortemente esplicativo è quello del celebre passaggio del poema “L’Adone” di Giovan Battista Marino, nel quale la spericolata descrizione di un usignolo viene arricchita di metafore sorprendenti come «atomo sonante», «voce pennuta», «canto alato». Questa caratterizzazione della metafora anticipa lo stile adottato nella lirica moderna, dove assistiamo ad un uso progressivamente più libero di questa figura. Il tessuto connettivo logico diviene sempre più labile, il collegamento tra i due termini sempre più sofisticato, e meno comprensibile sul piano razionale. A volte volutamente straniante, dissonante. Sono illuminanti le pagine che Hugo Friedrich dedica alla metafora nel suo saggio «La struttura della lirica moderna». La sua tesi è che, nella modernità (da Baudelaire in poi) la metafora si caratterizzi per lo sfaldamento logico del collegamento tra i due termini della similitudine, che si connotano per essere sempre più lontani, fino a livelli di estraneità impensabili. Anzi l’essenza della metafora diviene l’accostamento forzato, surreale, assurdo, di elementi lontanissimi, remoti, inconciliabili. «La metafora moderna non nasce dal bisogno di richiamare a concetti noti concetti sconosciuti. Essa realizza il grande salto della diversità dei suoi elementi a una unità raggiungibile soltanto nell’esperimento del linguaggio; essa vuole tale diversità quanto più estrema possibile e la realizza poeticamente. […] Dalla fondamentale capacità metaforica di collegare qualcosa di vicino a qualcosa di lontano, la lirica moderna ha elaborato le più sorprendenti combinazioni nel trasformare un elemento già lontano in uno assolutamente remoto, senza preoccuparsi delle esigenze di una concreta o addirittura logica realizzabilità»[i]. Vi sono svariate tipologie di metafora, classificabili in base alla tecnica adottata. Andiamo ad esaminare quelle che Friedrich considera precipue della modernità, non perché inventate in epoca recente ma per la loro innovativa modalità di utilizzo. La prima tipologia è quella della “metafora posta in forma di apposizione”. In questo caso l’accostamento dei termini si ottiene con un puro affiancamento: «Quale volto verrà, conchiglia sonora»[ii] (Eluard). Friedrich osserva, a questo proposito, la caratterizzazione di “identificazione” di questa veste formale, che è un ulteriore elemento della metafora moderna, che si richiama a quanto detto in precedenza: fare dell’estraneità, l’unità. Del due, l’uno. Il collegamento tradizionale della struttura metaforica tende a implodere in una singolarità alogica. Questo ci porta alla seconda categoria di metafora, che l’autore definisce “agglutinazione”. Qui l’identificazione è talmente spinta da creare strutture lessicali composte, in cui parole si giustappongono senza alcuna soluzione di continuità, o addirittura si saldano: «Sole collo mozzato» (Apollinaire), «L’universo-solitudine» (Eluard)[iii]. Infine, Friedrich indica la terza categoria metaforica (a suo parere la più comune e rilevante) che definisce “metafora del genitivo”. Di nuovo, essa raggiunge gli esiti più arditi mediante un processo di “identificazione”. Il procedimento è estremamente semplice: due concetti lontanissimi vengono uniti in una subordinazione di genitivo. Eluard è maestro di questa forma: «conchiglie di messi», «sole di preda», «crepacuore delle stagioni»[iv], ma forme analoghe le riscontriamo in tanta altra produzione poetica. Ad esempio, in Ungaretti, pur in una forma meno astratta, più aderente alle cose: «baratri di fiumi», «lampo della bocca»[v]. È una tecnica immediata, ma con esiti straordinari, per la capacità di creare suggestioni unendo parole (spesso molto semplici) in dissonanze linguistiche che si caricano di significati evocati. Un procedere che ricorda l’astrattismo pittorico, in cui il segno tracciato perde qualunque valore figurativo, e si carica di valenze immaginative, inconsce, magiche. Friedrich sintetizza così: «la preposizione più usata e abusata e la più ambigua, quella del genitivo, rende più di ogni altra possibile la disarmonia semantica, il magico congiungersi di elementi estranei». In queste strutture, la metafora è spinta ad un tale livello di astrazione da perdere la sua funzione originaria, da divenire puro collegamento linguistico, strumento mediante il quale il linguaggio può generare epifanie di senso. È uno dei modi in cui i poeti moderni “ascoltano il linguaggio”, in senso heideggeriano, ne aprono orizzonti nuovi: ancora una volta incontriamo l’elemento di reazione della lirica al discorso della tecnica, alle strutture chiuse e positivistiche. Di nuovo, in questa tensione formale, in questa tendenza a superare i limiti imposti dal dire dominante, ritroviamo l’interminata rivolta – estrema, folle, disperata – della parola poetica.



[i] H. Friedrich, La struttura della lirica moderna, Garzanti 2002 (prima edizione originale 1956)

[ii] Dalla raccolta La capitale del dolore (è citata da Friedrich nella forma «volto, conchiglia sonora»)

[iii] La citazione di Apollinaire, riportata da Friedrich, è tratta dalla poesia Zona, mentre quella di Eluard è il titolo di un suo brano tratto dalla raccolta A tutta prova, edizione italiana a cura di F. Fortini

[iv] Dai brani: Georges Braque, Joan Miro, Yves Tanguy, edizione italiana a cura di F. Fortini

[v] Dai brani: Il tempo è muto e Il lampo della bocca (per quest’ultimo, la citazione è tratta dal titolo)




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