Fellini e l'ombra
Salvatore Ruggiu - Manacu

Fellini e l'ombra

diElisabetta Baldisserotto

«Mi sembra di poter dire che Jung è stato forse uno dei più grandi incontri della mia vita. Credo che Jung sia un filosofo, uno scienziato veggente e che sia molto congeniale al tipo psicologico dell’artista. L’incontro con il suo mondo, con il suo pensiero, con la sua filosofia, con le sue visioni, con le sue interpretazioni è stato un incontro molto importante. Tutto quello che ho letto di lui mi ha immediatamente emozionato e commosso come se ritrovassi qualcosa che sapevo, qualche cosa che avevo dimenticato, e credo proprio che sia una visione della vita, della creatura umana». 

Queste parole di Federico Fellini, frutto di un’intervista rilasciata nel 1975 a Franco Valdobra, tornano nel documentario di Catherine McGilvray, Fellini e l’Ombra, presentato alla 78esima mostra del cinema di Venezia. 

Il documentario rievoca il percorso interiore del grande regista, entrato in contatto con il pensiero di Jung attraverso Ernst Bernhard, psicoanalista ebreo rifugiatosi a Roma nel 1936 per sfuggire alle persecuzioni razziali, che ha in cura intellettuali del calibro di Natalia Ginzburg, Adriano Olivetti, Giorgio Manganelli, Bianca Garufi e Cristina Campo.

Bernhard, fine psicologo “con una grande carica di tenerezza”, cultore delle mantiche ed esperto di tradizioni spirituali, intellettualmente stimolante, apre le porte dell’anima di Fellini, il quale inizia a esplorare i propri sogni, li disegna e ne fa materia della propria arte. 

Così la protagonista del film, la regista portoghese Claudia Oliveira de Teixeira (alter ego di Catherine McGilvray), a ogni tappa del suo pellegrinaggio nei luoghi felliniani (Rimini, Cinecittà, la casa di Bernhard), a ogni intervista con i personaggi che lo hanno conosciuto (Gianfranco Angelucci, Eleonora Trevi D’Agostino, Christian Gaillard) apre per noi una porta sull’anima del regista. Ci introduce dentro i suoi ricordi, dentro la malinconia che lo attanagliava, dentro i sogni e le fantasie che mettevano in moto il suo processo creativo. 

Si ferma, non a caso, di fronte a un’ultima porta: quella della stanza segreta di Jung nella torre di Bollingen, in Svizzera, a significare la necessità di arrestarsi sulla soglia di una quota di mistero non penetrabile, che va rispettata.

“Non afferrare, constatare l’aspetto misterioso, sfuggente delle cose, l’inaudito, l’inatteso» diceva Fellini «mi restituisce una gran pace, mi riempie la giornata, mi fa sentire la vita. Io non voglio capir tanto, mi sento deluso quando una cosa mi viene completamente spiegata, forse questo è uno dei miei aspetti infantili che può essere anche un limite. Però mi pare che Jung abbia visto questo aspetto anche come una ricchezza, una volta che è reso cosciente. Jung tenta di risvegliare anche qualità sopite, cioè l’intuizione, la percezione. Il grande pregio, la cosa meravigliosa di Jung è di tentare di avere consapevolezza degli aspetti irrazionali. Questo mi sembra il miracoloso equilibrio che dovrebbe restituire alla creatura umana una dimensione completa, integrata di se stessa». 

Ciò che Claudia scopre, infatti, tra le altre cose, è che per Fellini il sogno dice sempre la verità, controbilanciando così le menzogne che ci raccontiamo nella realtà.

Fellini e l’ombra è un film originale che mescola la fiction con l'animazione e il documentario, per sondare l'inconscio creativo di un genio visionario e farne affiorare simboli ricorrenti, ossessioni e fantasmi. Tra memoria e sogni, disegni e immagini cinematografiche, foto e backstage che mostrano il lato più segreto del grande regista, spezzoni del suo cinema, interviste e musiche di Nino Rota, il film incanta, commuove e fa risuonare le corde più intime della nostra psiche. Ci fa capire come il nostro mondo interno sia più vasto e ricco di quello che crediamo e che valga la pena esplorarlo per liberarne le energie creative. 


Catherine McGilvray, regista e sceneggiatrice, vive a Roma. Laureata in Lettere, si è diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia nel 1993. Ha esordito con il lungometraggio L'iguana, tratto dal romanzo di Anna Maria Ortese, in concorso al Torino Film Festival 2004. Oltre ai cortometraggi Parigi cambia Aspettando il treno, ha scritto e diretto diversi documentari in Francia e in Italia, tra cui Sono nato comunistaLos sin Voz e il premiato Il cuore dell'assassino.



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