La vita silenziosa
Elio Scarciglia, Cappella Baglioni di Spello, I volti del Pinturicchio

La vita silenziosa

diLucio Macchia

«La vita silenziosa» è il sottotitolo della «Ecloga II», contenuta nella raccolta «IX Ecloghe» di Andrea Zanzotto, una silloge poetica pubblicata nella stagione delle avanguardie (1962) in cui Zanzotto opera una ricerca estrema sul senso del dire poetico, attraverso un uso fortemente sperimentale della lingua, che si avvale di una vasta gamma compositiva, contaminazioni e citazionismo. Non si pretende qui di costruire un discorso esaustivo su questa opera zanzottiana, ma piuttosto di focalizzare l’attenzione su un aspetto particolare: il tema del silenzio, che attraversa, come un fil rouge, l’intera struttura delle Ecloghe. Ritroviamo concetti più volte incontrati nel discorso sul poetico moderno e contemporaneo. Zanzotto ci fornisce, con il suo meraviglioso testo, l’occasione per il tentativo – con tutte le difficoltà del caso – di una sintesi. La voce del poeta ci appare “imparentata” col silenzio per tre ordini di ragioni: ne parliamo attraverso altrettanti movimenti. Il primo (il più immediato e comprensibile) possiamo intitolarlo: “la poesia del silenzio”. Per dire che il silenzio è il presupposto dell’ascolto interiore. La sorgente della materia lirica giace in substrati non accessibili nella rumorosità dei discorsi mondani. Più volte, riferendoci a Heidegger, abbiamo notato la pervasività del “discorso della tecnica” nella nostra società, e di come esso tenda a sovrastare e annichilire ogni altro discorso. Non torno su tale aspetto già investigato in diversi miei articoli.[1] L’evento heideggeriano dell’essere non può che scaturire dall’assenza della “chiacchiera del mondo”. Da un ripiegamento interiore. Il poetico si trova, così, schiacciato dai grandi discorsi della storia e della tecnica, marginalizzato e indebolito. A fronte di quelli, appare mesto, “sottovoce”. Eppure, esso, sotto le coltri gelate dei discorsi dominanti, conserva la sua potenza generatrice. Anzi – sommesso e nascosto – è paradossalmente, più fortemente legato all’autenticità umana. Con le parole di Zanzotto: «Tenera sarà la mia voce e dimessa / ma non vile, / raggiante nella gola […] Non saremo potenti, non lodati, / accosteremo i capelli e le fronti / a vivere / foglie, nuvole, nevi. / Altri vedrà e conoscerà […] altri moverà storia / e sorte»[2]. Di grandissima potenza icastica, quest’immagine del poeta che accosta la fronte alle cose più immediate e ne cerca il contatto. Foglie, nuvole, nevi. Nell’auto-esilio dal mondo della tecnica, vi è una sorta di dialogo muto con cose mute. In pochi versi è tracciata una vera e propria “poetica dell’irrilevanza”, dell’occuparsi di ciò che il mondo trascura, non vede più. «Uno deve vegliare, si dice. Uno deve esserci»[3] afferma il guardiano di Kafka. E il poeta che veglia sulle foglie, sulle nuvole e sulle nevi, in fondo veglia, nel silenzio, sul silenzio. E qui andiamo al secondo movimento del nostro discorso: il “silenzio-poesia”. Per dire – ed è molto più complesso da focalizzare – che, per vie misteriose, il silenzio ci si presenta come consustanziale alla parola poetica. Perché essa è sempre, per dirla con Celan,[4] «anti-parola», capace di parlarci con la stessa intensità del silenzio, anzi guardando al silenzio come perfezione espressiva, come voce dell’essere.[5] Zanzotto scrive epifanicamente: «semantico silenzio»[6]. E ancora: «io ti colgo con questo / mormorio più depresso del nulla»[7]. La parola debole, la parola fatta di silenzio, può tentare il dire l’autentico. Con il nulla si coglie il tutto, si perviene all’altrove. Riecheggia – pur nostalgicamente declinata in una temperie di indebolimento dell’io lirico, di frammentazione, di incertezza – la poetica mallarmeana. E colpisce che le Ecloghe si chiudano con una composizione in francese («Bleu») di stampo simbolista. Il terzo movimento di questa nostra lettura del rapporto tra poesia e silenzio, possiamo chiamarlo “il silenzio della poesia”. È quello relativo a un silenzio effettivo, fisico: un tacersi, un arrendersi ai discorsi del mondo. È il rischio, già ben presente in Celan, dello “ammutolimento". In effetti due silenzi differenti compaiono nelle Ecloghe: quello di cui si è già detto nel secondo movimento: semantico, ontologico; e questo che ora ci si presenta: un tacersi nella rinuncia, che è in realtà un parlare con i vuoti discorsi del mondo. Un silenzio vero e proprio. Un’afasia di morte. Zanzotto reagisce ad esso con energia: «tu mai non credere / ad alcun mio silenzio / ad alcuna mia assenza ad alcuno / mio non-poema»[8]. Il parlare poetico si staglia come un urlo silenzioso contro il silenzio imposto dalla vacuità: «noi sospiro / a gridare il sospiro»[9]. Pur non potendo costruire un discorso strutturato e parlato a livello della tecnica e della storia, il poeta non rinuncia ad urlare i suoi sospiri «in questo andare che non ha ancora / senso, ma già rifiuta la paura / rifiuta il silenzio»[10]. Pur essendo irriducibile la dimensione dell’antinomia, pure il poeta compie l’atto del dire: «impossibilmente / qui, e pure qui a dire l’impossibile»[11]. Il discorso lirico procede così – e forse è “legge universale” del poetico – sotto l’azione simultanea di queste due forze antagoniste: da una parte un movimento interiore, dimesso, un silenzio “colmo”, un mormorio rarefatto, e dall’altra una ostinazione tenace, una volontà di cantare “l’impossibile”. 

In conclusione, sotto l’influsso della parola zanzottiana abbiamo potuto attraversare – certo brevemente, parzialmente – il rapporto tra la poesia e il silenzio. 

- La "poesia del silenzio": nel silenzio, dall'interiorità, scaturisce la parola poetica.

- "La "poesia-silenzio" la parola lirica è fatta della stessa sostanza del silenzio e, in questa consustanzialità, s'inscrive il gesto poetico.

- Il "silenzio della poesia", l'afasia che il mondo vuole imporre, contro il quale sempre, il poeta si rivolta.

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[1] Si vedano, per esempio, gli articoli: La poesia come disvelamento e Lirica e contenuto

[2] Zanzotto, dal brano Ecloga II, nella raccolta IX Ecloghe (1962)

[3] Dal racconto di F. Kafka, Di notte

[4] Per i riferimenti a Celan si vedano i miei due articoli: Lungo il meridiano (prima e seconda parte)

[5] Su questo aspetto ho preso spunto da alcune riflessioni di Adone Brandalise (dalla sua lezione Parola e poesia in Martin Heidegger pubblicata su Youtube)

[6] Zanzotto, dal brano Riflesso, ibid.

[7]  Zanzotto, dal brano Ecloga VII, ibid.

[8] Zanzotto, dal brano Ecloga VI, ibid.

[9] Zanzotto, ibid.

[10]  Zanzotto, dal brano Ecloga IX, ibid.

[11]  Zanzotto, dal brano Epilogo, ibid.


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