Anima di Laura Anfuso
Stefano Negri, Monaci birmani

Anima di Laura Anfuso

diEmanuela Dalla Libera

Se la poesia è la foce cui l’interiorità approda dopo un percorso che lambisce la vita tutta e della vita raccoglie l’immenso lascito disseminato nei tempi e negli spazi vissuti o contemplati, non poteva trovarsi un titolo più emblematico a designare un universo di linee intersecantesi nel nucleo delle emozioni più profonde e sciolte nell’unico mezzo atto a rappresentare l’immaterialità dello spirito, ossia la parola, ossia l’impalpabile che dà consistenza e vita e forma a ogni cosa.

Anima è il titolo di questa raccolta poetica di Laura Anfuso, silloge di attimi poetici brevi disseminati in pagine che li accolgono come si raccoglie nel palmo della mano un fiore, con la delicatezza che si conviene a toccare un lembo di intimità sacro e per altri versi inaccessibile. Ma è proprio la poesia a rendere possibile il contatto visivo ed emozionale con la sfera delle percezioni personali, anche quando si enuncia la limitatezza dell’esperienza umana e l’inafferrabilità dell’infinito. Ecco allora comparire versi in cui si scioglie lo sgomento della propria insufficienza il cielo è troppo vasto, o in cui attraverso un acrostico si tenta di ricavare dalla realtà un senso e un messaggio muta anima respira eternità. Sono versi scabri, minimi, molti condensati nella forma degli haiku, quelli qui raccolti, quasi che le parole vogliano essere nude e sole a rifuggire un’articolazione diffusa e ampia per rivelare nella loro secchezza e concisione la possibilità di un approdo a un mistero che il lettore deve catturare, quasi stille di pensiero ebbre di emozioni. Ecco allora che le parole sono sfiorate come da un tocco che le fa risuonare generando echi o silenzi o pause in cui perdersi e ritrovarsi per cercare ciò che non è…a cercare luce che corpo appartenga. È il bisogno che la poesia appaga di cercare una realtà altra da quella che la vita ci propone e ci impone, l’invisibile che è vero ma non reale in quanto non sta nelle cose ma oltre le cose stesse, è il desiderio di naufragare nel mare immaginario di una tessitura che lavora dentro ma che al contempo non può prescindere da ciò che accade e condiziona inevitabilmente il sogno o la visione di altro. Perché ciò che è dentro di noi non è mai scisso da ciò che è fuori con il quale, in un perenne rapporto dialettico, è in comunione o contrapposizione o in costante ricerca perché l’Uomo fuori/ancora non sa/del cielo dentro. E la parola diventa allora essenza di questo processo, lo esalta o lo sovverte, lo libera dal tempo rendendo libera l’esistenza stessa portandola in una dimensione che solo la parola poetica riesce a penetrare nelle pagine nido. La parola dà accesso ad altro attraverso ciò che dice, creando così, in questi versi, altre trame: non mi frena/il velo che parola cela/la trama mi traversa/e silenzio ricama.

Ecco allora il senso di levità e libertà che la poetessa ci propone in questi altri versi: sono un paesaggio/con rose bianche…mi sento un campo aperto/che il cielo sconfina calmo.

La poesia trascende la terra, sembra dirci ancora Laura Anfuso, varca la soglia del cielo quasi indicasse l’aspirazione a una dimensione nuova e inconsueta: la poesia lavora/in silenziovarca la soglia/ pudica di cielo. Oppure: non mi aspetto di capire/tutto/so che devo attendere/la luce calma/di un passaggio inatteso…e abbandonarmi d’infinito, cercando il prodromo di un futuro per il quale si consuma l’attesa: ancora chiuso il fiore/…saprà iniziare/alla promessa.

La voce poetica di Laura Anfuso si fa più intensa nella seconda parte della raccolta dove il destinatario del dire poetico trascende spesso il lettore generico, diventa una figura specifica che si carica di un valore autonomo, quasi emblematico. È una voce che diventa corpo, rimanda ad altro oltre la parola, ad una fisicità carica di affetti, complicità, riconoscenza forse, supera il silenzio e diventa suono, suono della vita incarnata in figure di uomini e donne, accordo che unisce tramite il battito del cuore, esattamente come dice il termine. Così l’attenzione è moltiplicata. Chi si pone in ascolto della parola poetica lega nel suo silenzio, necessario a dare spazio alla parola altrui, più soggetti, il poeta, se stesso e colui/colei che viene invocato sentendosi parte di un universo in cui protagonista è il verbo, ossia l’espressione primordiale della creazione e creatività umana. Perché è così che colma la pelle/che il corpo accoglie/sempre di Uomo.


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